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WineCouture meets Alessandro Zingarello: Milano e il vino, secondo Langosteria

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Alessandro Zingarello ci invita a immergerci nel mondo di Langosteria. Con lui indaghiamo il rapporto tra Milano e il vino, ma anche i percorsi che conducono alla scelta di una etichetta da parte del cliente e alla sua valorizzazione in termini di servizio.

Varcare l’ingresso della Langosteria, il ristorante fondato nel 2007 da Enrico Buonocore e divenuto negli anni indiscusso riferimento quando si parla di pesce a Milano, significa realmente perdersi in un labirinto di sogni e sapori. Passando di sala in sala, un gusto ricercato e un ambiente dalla forte impronta internazionale conducono fino a quello che è il caveau dove sono custodite alcune delle più pregiate tra le migliaia di bottiglie che caratterizzano la cantina del locale. Un vero e proprio paradiso, in cui a far la parte del leone sono le etichette di Champagne. Ma anche uno spazio che schiude gli orizzonti. E invita a viaggiare: si passa dall’eleganza della Borgogna alle nuove scoperte dalla Spagna, ci si immerge a capofitto nella variegata moltitudine delle centinaia di eccellenze italiane, fino a essere condotti a cogliere le gemme più preziose di territori lontani, tra California, Sud Africa, Nuova Zelanda e molte altre zone vocate ancora. Con Alessandro Zingarello, direttore di Langosteria e sommelier che ha dato forma e sostanza alla filosofia su cui si fonda la wine list del locale (che oggi cura con Valentina Bertini, wine manager del Gruppo Langosteria), parliamo del rapporto tra Milano e il vino e dei percorsi che conducono alla scelta delle etichette da parte del cliente, oltre che alla loro valorizzazione lato servizio.

Se dovessimo scattare oggi una fotografia del rapporto tra Milano e il vino, qual è l’immagine di cui avremmo rimando?

Di una città in cui il livello del bere bene si è notevolmente alzato in questi ultimi anni. E nella stessa ristorazione, a Milano ma non solo, il vino sta progressivamente acquistando una centralità sempre più rilevante

In che termini?

Perché oggi il vino muove una buona fascia di clientela. Tanto da creare una sorta di turismo: sempre più, c’è chi si muove di ristorante in ristorante scegliendo sulla base di quel che vi troverà da bere. Parliamo di appassionati che si preparano in anticipo, andando a consultare online le carte dei vini dei differenti locali. E che danno priorità proprio ai luoghi in cui sanno di poter trovare una wine list di livello, dove poter scovare quel che più amano e le bottiglie che normalmente si fatica a reperire sul mercato. 

Per Langosteria, vale questo principio?

In Langosteria, per filosofia, riteniamo che sia la cucina che debba attrarre il cliente. La carta vini, studiata minuziosamente per offrire una proposta interessante, rappresenta un complemento e un completamento dell’esperienza, assicurandole ancor maggiore valore.

"In Langosteria, per filosofia, riteniamo che sia la cucina che debba attrarre il cliente".
“In Langosteria, per filosofia, riteniamo che sia la cucina che debba attrarre il cliente”.
(Ph. Claudia Calegari)

Ma cosa rappresenta e quanto conta il vino nella gestione di un ristorante?

Nella gestione di un ristorante, il vino rappresenta un fattore molto importante all’interno di quello che è il conto economico complessivo. È necessario, però, saper ben amministrare la propria cantina. E questo implica aver cura nella rotazione delle etichette, rimanendo bassi con le giacenze. Lo sforzo per mantenere un sano equilibrio di gestione risulta ancor più decisivo laddove si sceglie di lavorare con un’ingredientistica di particolare pregio, perché agevola un miglior bilanciamento nella combinata di valore collegata al costo dei piatti.

Ritorniamo al rapporto tra Milano e il vino: cosa ha condotto a quella crescita del bere bene di cui si parlava prima? 

Milano, in questi ultimi anni, si è realmente trasformata in una capitale europea. Il livello del bere bene si sta, di conseguenza, notevolmente alzando, adeguandosi allo status raggiunto. A tal riguardo, un grande contributo alla crescita lo ha fornito la cosiddetta clientela “di passaggio”, ovvero quegli avventori che frequentano i ristoranti milanesi in specifici periodi dell’anno: penso alle settimane della moda o del design, per fare due esempi classici, ma anche a momenti dell’anno più insospettabili, come a ridosso delle vacanze estive. Non dobbiamo scordare proprio questo elemento: Milano è hub di passaggio, ma con una grande e sempre maggiore attrattività. Il turista e l’avventore stranieri, oggi, allungano sempre più la loro permanenza in città, anche oltre alle singole serate legate ad arrivi e partenze per le principali destinazioni turistiche. E quando cenano, molto spesso optano per bottiglie importanti.

Come risponde un ristorante come Langosteria a questa richiesta di un innalzamento del livello nel bere bene?

Adeguando costantemente la nostra offerta. Se da una parte, è proprio la necessità di rispondere ai flussi di richieste dei diversi periodi dell’anno che ci muove, dall’altra, è una smisurata passione il motore che ci guida. In fondo, si tratta di una dinamica abbastanza comune per ogni professione: quando si scopre qualcosa che ci piace, il primo istinto è di condividerlo con tutti. Per noi si tratta di un abbinamento o una tipologia di vino. E la nostra carta è proprio grazie a questa passione che si alimenta e cresce. Oggi parliamo di circa 1.600 referenze, di cui più di 200 sono champagne. Con una giacenza media di cantina che si aggira attorno alle 15mila bottiglie.

"Quando si scopre qualcosa che ci piace, il primo istinto è di condividerlo con tutti. Per noi in Langosteria si tratta di un abbinamento o una tipologia di vino".
“Quando si scopre qualcosa che ci piace, il primo istinto è di condividerlo con tutti. Per noi si tratta di un abbinamento o una tipologia di vino”.
(Ph. Claudia Calegari)

Parliamo della carta vini: quanto conta la presentazione in termini di servizio?

Il modo come si propone un vino è estremamente importante. Fin dal 2014, quando la nostra carta ha cominciato a prendere forma, abbiamo sempre cercato di evitare di arrivare al tavolo con il classico tomo che mette solo soggezione al cliente. È stato fatto un grande studio in tema di presentazione: dai caratteri migliori da utilizzare in una wine list fino al corretto posizionamento delle diverse tipologie di vino. L’obiettivo, per noi di Langosteria, è quello di arrivare dal cliente con uno strumento che non spaventi, ma invogli, che lo aiuti a focalizzare l’attenzione sugli aspetti che desideriamo valorizzare e che sia coordinato con quella che è la complessiva immagine del nostro brand. E questa è la medesima tipologia di lavoro che portiamo avanti anche lato food, con i menù.

Come avete scelto di caratterizzare la carta vini in Langosteria?

Una cover della carta vini di Langosteria. Le illustrazioni sono firmate dall'artista Elisa Macellari
Una cover della carta vini di Langosteria. Le illustrazioni sono firmate dall’artista Elisa Macellari

Uno strumento che utilizziamo per caratterizzare la nostra carta è quello dei contenuti. Elementi che, da una parte, hanno una connotazione commerciale, dall’altro sono approfondimenti su più generali temi collegati al mondo del vino. Questo aiuta nell’intento che ci prefiggiamo di non creare “imbarazzo” al momento della scelta al tavolo: un passaggio delicato e decisivo, perché il rischio è che il cliente sia portato a rinchiudersi nella propria comfort zone, con la conseguenza che beva sempre il solito vino o una prima scelta che gli viene in mente, ma non dettata da una vera riflessione circa il ventaglio di possibilità a disposizione. Una carta vini come quella che proponiamo in Langosteria, all’opposto, apre a un dialogo e lo vuole alimentare.

A cosa conduce questo dialogo in tema di abbinamenti?

Siamo soliti proporre un vino passe-partout ai nostri ospiti, un’etichetta capace di accompagnarli lungo tutto il percorso del proprio pasto. Ma quando ci viene richiesto, ci piace molto divertirci con quei clienti che desiderano qualcosa di più specifico, creando una sequenza di piatti che possano sposare idealmente la bottiglia selezionata. In questo modo si possono anche ribaltare gli schemi: ad esempio, partendo da rossi importanti. La nostra cucina, che è molto ampia, ci consente la possibilità di dare vita ad abbinamenti anche con vini che secondo la vulgata non sarebbero consigliati da associare a un pesce. E invece le sorprese possono essere davvero tante e realmente sorprendenti, quando si sceglie di osare. Quel che è fondamentale, però, è sempre ritrovare l’eleganza stilistica tanto nel piatto, quanto nel calice.

Quanto vale questo interfacciarsi con il cliente?

L’interazione costante col cliente è decisiva perché rappresenta uno dei fattori che conducono a fidelizzarlo. E nel tempo, questa dinamica porta a crearsi una base di habitué che si affidano completamente a te nella scelta del vino. Per un ristorante, questo è un elemento fondamentale, in quanto aiuta a far girare bene una cantina. Al cliente ricorrente, infatti, per principio non proponiamo mai la medesima etichetta. All’opposto: è proprio lui a rappresentare uno dei più grandi stimoli nel nostro lavoro. Siamo quasi “costretti” a ricercare sempre qualcosa di nuovo da proporgli. Tanto che, nella costruzione della nostra carta vini, spesso capita di assaggiare qualche etichetta e correlare il prodotto direttamente al volto di un nostro specifico cliente.

“Il nostro motto: Champagne, coquillages et joie de vivre”.
(Ph. Claudia Calegari)

Come si contraddistingue, per proposta, la carta vini di Langosteria?

La nostra impostazione ci porta a prediligere la bollicina, tanto che sia champagne, quanto che si parli di grande metodo classico italiano. In parte, perché è una tipologia che sposa perfettamente la nostra cucina, in parte, perché è un po’ il nostro motto: “Champagne, coquillages et joie de vivre”. Sull’Italia, la preferenza va alla valorizzazione dell’immenso patrimonio ampelografico che siamo in grado di vantare, esaltando l’autoctono che caratterizza ogni regione, ma anche le singole sfumature donate dai diversi territori ai grandi vitigni internazionali, come Pinot nero o Chardonnay. A livello più generale, poi, il richiamo principale è alla Francia e, nello specifico, alla Borgogna, che rimane il riferimento mondiale: è lo stile e l’eleganza dei vini di questa zona altamente vocata che andiamo a ricercare in ogni scelta e selezione che portiamo avanti su etichette provenienti da altri paesi.

Qual è la sfida di domani per una wine list come la vostra?

Oggi, la sfida che ci è posta innanzi è proprio quella di andare oltre la Borgogna. Davanti alla forte speculazione di cui sono oggetto i vini di questa zona, guardiamo con sempre maggiore attenzione a nuovi territori. Ad esempio, da un paio d’anni stiamo indagando sull’offerta che arriva dalla Spagna. E oggi è mutata anche la stilistica dei vini americani: sugli Stati Uniti stiamo intensificando sempre più la nostra selezione. Poi, ci sono le chicche che possono essere scovate in giro per il mondo: penso a un caso come Bodega Chacra, dalla Patagonia.

In Italia, quali sono le etichette riferimento oggi e quale il grande vino del futuro?

La concentrazione di tutti oggi è rivolta alle pendici dell’Etna: è in Sicilia che tutti ricercano il prossimo grande vino. Nel resto d’Italia, i riferimenti sono quelli storici: dal Piemonte di Gaja alla Lombardia di Ca’ del Bosco, passando Ferrari nella zona del TrentoDoc e Antinori in centro Italia. Al sud, poi, si può trovare grande qualità in Campania: merito di una serie di piccoli produttori capaci di dar vita a delle vere eccellenze. 

Qual è, in questo momento, la direzione da intraprendere per crescere ancora nell’offerta, se si parla di una carta vini come quella di Langosteria?

In Italia, attualmente, dove si può lavorare molto e farlo bene è sul grande patrimonio storico di riserve e vecchie annate. È su di loro che, in Langosteria, oggi focalizziamo molto l’attenzione. E quella è la vera scommessa, a mio avviso, anche per i vini italiani: dimostrare la loro importante capacità d’invecchiamento. Per quello abbiamo scelto di fare pagine intere di verticali, andando in profondità con le annate delle aziende più importanti. E facendo riscoprire agli stessi produttori le grandi potenzialità di tante etichette che conservano in casa. Magari anche osando: penso alla pagina di vecchie annate di Verdicchio dei Castelli di Jesi di Stefano Antonucci che abbiamo voluto proporre andando indietro fino al 2006-2007. E se per Milano ha rappresentato una vera e propria scommessa, alla fine possiamo dire di averla vinta. Se poi si pensa alla possibilità di stappare vecchie annate di bollicine, come quelle di Ca’ del Bosco o di Giulio Ferrari, non si può non pensare a grandissime bevute. Ed è anche così che si dona armonia e musicalità a una carta vini: dando profondità a una lista dove e come possibile.

Se dovessimo indicare due etichette simbolo – una italiana e una internazionale – tra quelle presenti nella vostra ricca offerta, quali sarebbero?

Se devo citare un’etichetta italiana di riferimento per noi, indico il Cervaro della Sala, blend di Chardonnay e una piccola percentuale di Grechetto che è massima espressione dell’Umbria, territorio in cui nasce. Per la Francia, l’indicazione non può che ricadere ancora sulla Borgogna e i suoi Chardonnay: qui parliamo di una cerchia dei produttori di riferimento, che però si limita a pochi domaine, come Coche Dury, Jean-Marc Roulot, Arnaud Ente e P.Y. Colin Morey.

E la bottiglia del cuore di Alessandro Zingarello?

Premetto che, lavorando in Langosteria, ho avuto la fortuna di assaggiare tutta una serie di vini che simboleggiano un po’ il gotha a livello mondiale per chi svolge la professione del sommelier. Per quello che è stato il mio percorso nella ristorazione, devo dire di aver sempre avuto un debole per la bollicina. E la sua massima espressione, a mio avviso, è rappresentata dallo Chardonnay. Anche in termini di evoluzione lungo il corso del tempo. E se devo indicare un nome solo: è il Clos du Mesnil di Krug la mia etichetta del cuore.

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