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Pathos: il giovane ventenne pronto a conquistare l’Olimpo italiano del taglio bordolese

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Il taglio bordolese: c’è chi lo ama alla follia e chi, nel calice, lo trova un concetto démodé, retaggio di un bere del passato. La neutralità, sul tema, non è concessa. E nemmeno ammissibile. Ma di qualunque parte, tra le due, prenda le difese chi legge (o chi scrive), assolutamente nessuno può esimersi dal riconoscere che alcune delle etichette mito del vino – internazionali, ma anche italiane – è proprio a un sapiente assemblaggio tra Cabernet Sauvignon e Merlot (con aggiunta, talvolta, del Cabernet Franc) che devono spesso tanto del loro successo sulla scena internazionale.

Nascita di un mito (anche da questo lato delle Alpi)

Già, perché è proprio il taglio bordolese che, a livello globale, riscontra da sempre il maggior favore nel gusto del grande pubblico, oltre che dei più grandi critici ed esperti appassionati. E anche qui in Italia, c’è chi ha scelto di far propria la tradizione di Bordeaux per dare vita a etichette che sono nel tempo entrate progressivamente nella leggenda: a iniziare dal primo visionario, il Marchese Incisa della Rocchetta, ad aver creduto che un progetto del genere potesse aver successo da questo lato delle Alpi. Ed è così che in Maremma, più precisamente nella vocata zona di Bolgheri, vide la luce nel 1972 la prima bottiglia di Sassicaia. Faceva riferimento alla vendemmia 1968: un anno che avrebbe rivoluzionato radicalmente la successiva storia, anche del vino tricolore.

20 anni di Pathos: il taglio bordolese pronto a sfidare il mostro sacro Sassicaia

Pathos è un taglio bordolese, che tuttavia si permette la libertà di un excursus nella valle del Rodano grazie a un sapiente dosaggio di Syrah
Pathos è un taglio bordolese, che tuttavia si permette la libertà di un excursus nella valle del Rodano grazie a un sapiente dosaggio di Syrah

Non è, però, della più famosa e celebrata tra le etichette nazionali che oggi vi vogliamo parlare. Ma di un altro taglio bordolese, che tuttavia si permette la libertà di un excursus nella valle del Rodano grazie a un sapiente dosaggio di Syrah. Un vino ampiamente meno celebrato del sacro mito bolgherese, ma che legittimamente è oggi da inserire nel ristretto pantheon dei grandi rossi “internazionali” del Bel Paese guidato dall’unico italiano a essere stato consacrato per due volte con il riconoscimento massimo dei 100 punti dal prestigioso Wine Advocate: nell’annata 1985 e, da poco, con la 2016 attualmente in commercio. Ad affiancarli sull’Olimpo, altri monumenti nazionalpopolari: a chi legge, la facoltà di scegliere il preferito tra il trentino San Leonardo e i toscani Ornellaia, Solaia e Tignanello, solo per citare alcuni altisonanti nomi noti a tutti e tra i più validi interpreti in Italia del “Bordeaux out of Bordeaux”.

Stefano Antonucci alla prova del gusto internazionale

Stefano Antonucci, eclettico vigneron di Barbara, borgo situato al cuore delle Marche
Stefano Antonucci, eclettico vigneron di Barbara, borgo situato al cuore delle Marche

Ma chi è l’autore dell’etichetta del mistero di cui stiamo parlando? Il suo nome è Stefano Antonucci, vigneron di Barbara, piccolo borgo situato al cuore delle Marche, e firma tra le più eleganti nell’attuale panorama vitivinicolo italiano. Un nome che non sfuggirà ai veri appassionati del bere bene. Infatti, è già noto alle cronache per essere stato uno dei principali protagonisti del movimento che ha ridato lustro, prestigio e (ma questa è sua peculiare specificità) profondità d’invecchiamento all’uvaggio più noto della sua terra: il Verdicchio dei Castelli di Jesi. Da 20 anni, però, Stefano Antonucci coltiva anche un’altra passione, che lo ha condotto a superare i confini degli autoctoni della sua terra: si adopera, infatti, con successo nella creazione di vini dal “gusto internazionale” che abbiano originalità e grande personalità. È proprio questo il caso della nostra etichetta del mistero, un taglio bordolese, blend di Merlot, Cabernet Sauvignon e Syrah, cui esattamente 20 anni fa è stato dato il nome di Pathos.

Pathos: se il taglio bordolese è anche marchigiano

I vigneti della cantina marchigiana Santa Barbara sono distribuiti su 45 ettari di terreno lungo le sinuose colline che dal comune di Barbara attraversano Serra de Conti, Montecarotto, Arcevia fino ad arrivare a Morro D’Alba e Cupramontana
I vigneti della cantina marchigiana Santa Barbara sono distribuiti su 45 ettari di terreno lungo le sinuose colline che dal comune di Barbara attraversano Serra de Conti, Montecarotto, Arcevia fino ad arrivare a Morro D’Alba e Cupramontana

Pathos nasce, per l’appunto, nel 2000. Ha orizzonti internazionali, ma è figlio prediletto della terra in cui affondano in profondità le sue radici: è, infatti, un Marche Rosso Igt. Prende forma in un microclima ideale: all’interno di un vigneto fronte mare, ma che ha l’Appennino a coprirgli prudentemente le spalle. Sulla stessa collina, convivono in perfetta simbiosi i tre uvaggi che compartecipano al blend: Merlot, Cabernet Sauvignon e Syrah. Poi, è nella forma che viene ad assumere il taglio bordolese che la mano del vignaiolo è testata: in questa suprema prova, se ne verificano competenza, stile ed eleganza. E il tocco di Stefano Antonucci (e del suo team) è inconfondibile. Un sapiente bilanciamento, che dà vita a un “Super Marche” che non vuole farsi imbrigliare da schemi o assunti predefiniti. Sì, perché Pathos è un blend bordolese che strizza l’occhio a palati internazionali, ma è altrettanto racconto fedele di un pezzo d’Italia: quella costa marchigiana, “Mondo piccolo” a troppi ancora poco noto quando si parla di grandi vini.

Il taglio bordolese Pathos prende forma in un microclima ideale: all’interno di un vigneto fronte mare, ma che ha l’Appennino a coprirgli prudentemente le spalle
Pathos prende forma in un microclima ideale: all’interno di un vigneto fronte mare, ma che ha l’Appennino a coprirgli prudentemente le spalle

Il bere bene che piace agli amanti del vino: Pathos e i suoi fratelli

Se, come già accennato prima, l’indiscusso merito di aver riportato oggi in auge anche in Italia il taglio bordolese va ascritto ai grandi successi di critica ottenuti dal mito Sassicaia con le sue ultime annate, non da sottovalutare sono i tanti fratelli di quest’ultimo in giro per lo stivale. E il Pathos di Stefano Antonucci oggi si configura come un’etichetta d’élite, ma approcciabile proprio da tutti, a differenza di molti suoi compagni di viaggio. La produzione annuale si attesta ormai stabilmente sopra le 10mila bottiglie (sul milione complessivo della cantina) e il progetto rispecchia, passo dopo passo, di dettaglio in dettaglio, quello che è uno dei principi alla base della filosofia del suo creatore. L’obiettivo ultimo di Stefano Antonucci, come rispecchia ogni etichetta che propone al mercato, è da sempre quello di – si citano qui le sue parole – “produrre un vino che piacesse agli amanti del vino”. Ed è forse questo il segreto del suo successo, da sempre. Pathos, tra i rossi della cantina marchigiana, affianca le altre due produzioni premium dell’azienda all’interno della categoria: il Mossone, 100% Merlot in edizione numerata, e il Maschio da Monte, Rosso Piceno Doc che ha voluto rivalutare la nobiltà delle uve Montepulciano e Sangiovese tradizionalmente coltivate nel territorio. Tutte etichette premiate a più riprese dalla critica, fin dal loro esordio. E che di anno in anno continuano a mantenere costante e alta l’asticella della qualità. Ribadendo, qualora fosse necessario, che quelli di Stefano Antonucci sono vini di sostanza.

“Produrre un vino che piacesse agli amanti del vino”: che sia taglio bordolese o frutto di un uvaggio autoctono, questa da sempre l'ambizione e la filosofia su cui si fonda il lavoro di Stefano Antonucci e del suo team
“Produrre un vino che piacesse agli amanti del vino”: questa da sempre l’ambizione e la filosofia su cui si fonda il lavoro di Stefano Antonucci e del suo team

Il fragile equilibrio di un taglio bordolese

“Da una parte, occorre non eccedere nella sperimentazione rispetto al classico taglio bordolese, dall’altra, non si deve scivolare in una standardizzazione” (Elena Lorenzetti)
“Da una parte, occorre non eccedere nella sperimentazione rispetto al classico taglio bordolese, dall’altra, non si deve scivolare in una standardizzazione” (Elena Lorenzetti)

“Pathos trae il suo nome dall’impeto emotivo che ha l’ambizione di far sorgere in chi lo assaggia: sia che si parli della prima volta, siano le successive”, spiega Elena Lorenzetti, responsabile marketing e commerciale di Santa Barbara. “Anche un vino, infatti, proprio come un’opera d’arte, può suscitare in chi lo beve emozioni intense fino alla commozione, grazie alla sua capacità di sprigionare potentemente tutta la forza e il carattere della terra, delle uve e della mano da cui prende vita”. Perché, attenzione, quando si parla di vino, il suolo non potrebbe raccontare nulla senza l’uomo e la sua mano. E il Pathos di storie ne ha davvero tante da raccontare. “Il blend che lo identifica, in 20 anni, non è cambiato”, riprende Elena. “Ma noi, come produttori, sì: abbiamo mantenuto fede alla nostra filosofia, ma modernizzando nel corso del tempo le tecniche, così da promuovere un innalzamento dell’eleganza della beva ed esaltare ancor di più il terroir in cui i nostri vini prendono forma”. E 20 anni di esperimenti per accrescere la qualità, oltre che di passione trasmessa al proprio team da Stefano Antonucci, si ritrovano tutti in un savoir faire enologico che oggi ha condotto ad avere un vino che si caratterizza per la sua estrema pulizia al palato, per quella che ne è la coerenza produttiva che lo contraddistingue da sempre e per un’accessibilità che richiama quella peculiare filosofia di partenza del creare etichette per chi ama bere bene. “È a un fragile equilibrio che chiama un vino quale è il Pathos”, chiosa la responsabile marketing e commerciale di Santa Barbara. “Da una parte, occorre non eccedere nella sperimentazione rispetto al classico taglio bordolese, dall’altra, non si deve scivolare in una standardizzazione”. E in fondo è proprio questa la magia cui ha saputo dar vita Stefano Antonucci col Pathos, come in tante altre produzioni che lo identificano: osare alla perenne ricerca di una compiutezza stilistica, ma rimanendo fedele a sé stesso e autenticamente legato alla propria terra e a suoi valori

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