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WineCouture meets Maria Sabrina Tedeschi: variazioni sul tema Valpolicella

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Il Cru come scelta di campo. La ricerca come guida della nuova generazione. Il rapporto umano, oltre il virtuale, quale credo di sempre. Un calice in compagnia di Maria Sabrina Tedeschi, contitolare dell’omonima cantina di famiglia in Valpolicella.

Quella della famiglia Tedeschi è una storia di Valpolicella. Una lunga storia, per dirla tutta, che rimanda molto indietro nel tempo, addirittura fin all’anno di grazia 1630. Ma è anche una dichiarazione d’amore alla propria terra, che ritorna a ogni nuovo vino, immutata nei suoi principi lungo il corso del tempo, ma sempre differente in forme e sfumature. Tanto che oggi non è eresia parlare di un vero e proprio stile Tedeschi, che si può rintracciare in quella costante valorizzazione delle diversità di un terroir vocato, così da svelarne ogni potenzialità. Ed è proprio di questo che abbiamo voluto discutere con Maria Sabrina Tedeschi, che oggi guida l’azienda vitivinicola veronese con i fratelli Antonietta e Riccardo, tra l’assaggio di tre delle etichette simbolo della cantina, il racconto delle intuizioni di papà Lorenzo e l’importanza del rapporto umano anche in tempi di digital tasting.

La veduta della Valpolicella dalla croce alla sommità del vigneto la Fabriseria, storico cru della famiglia Tedeschi
La veduta della Valpolicella dalla croce alla sommità del vigneto La Fabriseria, uno dei Cru di proprietà della famiglia Tedeschi

Non è possibile esimersi dal dare il via a questa chiacchierata, non domandandoti con quale spirito avete ripreso l’attività dopo lo stop forzato legato alle contingenze degli ultimi mesi?

Il lavoro in vigna, come si può bene intuire, non si è mai interrotto, non mancando di tenerci tutti occupati. Più in generale, lato commerciale ripartiamo da alcuni spiragli di positività. È una ripresa a rilento, quella a cui stiamo assistendo, ma progressivamente qualcosa comincia a risvegliarsi in Italia. All’estero, invece, la situazione rimane maggiormente incerta nei diversi contesti di mercato che presidiamo. 

Vista dall’occhio del produttore di grandi classici della Valpolicella, come questa situazione ha modificato la vostra tabella di marcia?

Abbiamo la fortuna di produrre vini cui un maggior tempo di affinamento in cantina non fa male, all’opposto. E anche nel caso del solo Valpolicella d’annata – dunque più fresco – che realizziamo, stiamo procedendo a una preparazione su misura in funzione della richiesta di mercato. In definitiva, oggi siamo tutti chiamati, in ogni aspetto della nostra attività, a muoverci e pianificare in maniera differente.

Abbandoniamo la stretta attualità e parliamo della vostra storia di famiglia del vino: come nasce il rapporto tra Tedeschi e la Valpolicella?

Tedeschi vanta un legame profondo con il territorio della Valpolicella e che va indietro di quasi quattro secoli: i primi documenti aziendali risalgono addirittura al XVII secolo. Ma la storia della nostra azienda a me piace raccontarla partendo dagli anni ’60 del ‘900, quando si è cominciato ad assistere a un cambio di passo da parte del nostro territorio in ambito vitivinicolo. È stato allora che mio padre Lorenzo ha deciso d’indirizzare la produzione verso una sempre più spiccata ricerca della qualità. 

Bruna e Lorenzo Tedeschi
Bruna e Lorenzo Tedeschi

Concretamente questo cosa ha significato?

Quanto ha mutato le sorti della nostra famiglia è stata una felice intuizione di papà: scegliere di vinificare separatamente le uve di un nostro storico vigneto, il Monte Olmi. Ma non è stata la sola: mio padre ha infatti capito che in Valpolicella era possibile – e lo è ancora – ottenere prodotti tra loro diversi a seconda della zona in cui le uve vengono selezionate. E anche da un punto di vista comunicativo, è stata sempre sua l’intuizione di dichiarare in etichetta il nome del vigneto in cui uno specifico vino nasceva. E così, a partire dal 1964, la nostra azienda ha iniziato a proporre ai consumatori un vero e proprio Cru, esplicitandolo in bottiglia.

Il vigneto Monte Olmi, il primo Cru dichiarato in etichetta dalla famiglia Tedeschi nel 1964
Il vigneto Monte Olmi, il primo Cru dichiarato in etichetta dalla famiglia Tedeschi nel 1964

Oggi di cosa parliamo quando facciamo riferimento alla Valpolicella di Tedeschi?

Di una strenua volontà di presentare tutte le espressioni di un territorio, dando spazio all’intera offerta che si può proporre avendo quale bussola il terroir. Con il sistema dei Cru, infatti, abbiamo cercato d’interpretare i terreni che presidiamo, dando fedele rappresentazione nei nostri vini di ciò che quelle zone sono e rappresentano. Mentre in Valpolicella l’attuale indirizzo è quello di produrre il più possibile Ripasso e Amarone, noi come famiglia di produttori abbiamo sempre operato un po’ in controtendenza, tanto che oggi siamo arrivati a realizzare cinque Valpolicella diversi.

In cosa si differenziano queste vostre “variazioni sul tema”?

Si tratta d’interpretazioni differenti: dal primo, un Valpolicella più fresco, fatto esclusivamente in acciaio, a quello prodotto con uve semi-appassite, passando per quello destinato principalmente al mercato export, fino ai due Cru da singoli vigneti. Ma anche con l’Amarone realizziamo un’operazione simile: non una sola interpretazione, ma tre. E a La Fabriseria, Capitel Monte Olmi e Marne 180, presto si aggiungerà una quarta variante.

La lieve surmaturazione delle uve è una delle caratteristiche che rendono unico il Valpolicella Superiore Maternigo
La lieve surmaturazione delle uve è una delle caratteristiche che rendono unico il Valpolicella Superiore Maternigo

Quali sono i vostri numeri?

Oggi l’azienda conta 46 ettari di vigneto, cui se ne aggiungeranno altri due già piantati e che diverranno produttivi in un paio d’anni. Sono circa 500mila le bottiglie che realizziamo ogni anno: 160mila circa di Amarone, 100mila di Ripasso, il resto suddivise sulle cinque diverse tipologie di Valpolicella. Rappresentiamo quella che è, per dimensione nel territorio, una media realtà. E indicativamente l’80% della nostra produzione è indirizzata ai mercati esteri, con la piazza di riferimento rappresentata dal Canada.

Ma dovendo indicare la caratteristica che maggiormente contraddistingue e caratterizza Tedeschi in Valpolicella, qual è?

Di avere vigneti di collina, da sempre. A partire dal 2010, inoltre, abbiamo dato il via a un grande lavoro di zonizzazione e caratterizzazione, che è stato fondamentale per comprende appieno le diverse tipologie di terreni, con i loro microelementi che variano a seconda dell’appezzamento e che possono realmente fare la differenza. In aggiunta, c’è il tema di presentare vigneti situati ad altitudini molto differenti tra loro: da 180 a 500 metri. E anche in termini di microclima o di profondità dei singoli terreni, gli elementi peculiari di ciascun contesto possono essere molteplici. E sono questi gli ingredienti decisivi per provare a dar forma a diverse interpretazioni di un medesimo terroir.

Il vigneto La Fabriseria si trova nella Valpolicella Classica, a 450-500 metri sopra il livello del mare
Vigneto della Valpolicella Classica, La Fabriseria si trova a 450-500 metri sopra il livello del mare

Quanto conta oggi la ricerca per fare un buon vino?

Nel mosaico di territori che costituisce la Valpolicella, ma non solo, l’attività di ricerca e analisi delle diversità collegate a morfologia e geologia è sempre più importante. Ed è un passaggio che risulta decisivo laddove si voglia affermare, con una maggiore cognizione di causa, quali siano le differenze tra un’area e l’altra, innalzando così la qualità della produzione complessiva. La storia è importante, e mi riferisco all’intuizione che ebbe nostro padre tanti anni fa. Ma oggi, sempre più, io, Antonietta e Riccardo, i miei fratelli, riteniamo fondamentale affidarci alla ricerca per dare risposte certe al tanto al lavoro che si fa in vigna e in cantina.

E sempre in tema di ricerca, su cosa vi state focalizzando ora dopo il lavoro realizzato sulla zonizzazione?

Oggi, una ricerca interessante che stiamo portando avanti – in collaborazione con l’università di Verona – è quella della caratterizzazione aromatica. Dopo aver compreso come la vigna si comporta in un determinato terreno, ora vogliamo capire quali aromi producono le varietà Corvina e Corvinone nelle diverse sottozone che abbiamo identificato. Più nello specifico, stiamo ragionando sull’analisi delle sostanze presenti e delle qualità organolettiche delle uve raccolte in proprietà diverse: i vigneti La Fabriseria e Monte Olmi, che si trovano nella Valpolicella Classica, rispettivamente a 450-500 metri sopra il livello del mare e a 180-200 m, oltre al vigneto Maternigo, nella Valle di Mezzane, dove l’esperimento lo stiamo conducendo spaziando su tre porzioni di questa proprietà molto vasta e che si situano ad altitudini diverse, tra i 280 e i 420 m.

Panoramica della tenuta di Maternigo: acquistata nel 2006, ha sancito l'uscita dai confini della Valpolicella Classica per la famiglia Tedeschi
Panoramica della tenuta di Maternigo: acquistata nel 2006, ha sancito l’uscita dai confini della Valpolicella Classica per la famiglia Tedeschi

Passiamo a parlare di tre vini che ben vi rappresentano: il Ripasso Capitel San Rocco, il Valpolicella Superiore Maternigo e l’Amarone Marne 180

Sono tre etichette che ben ci raccontano. Il Ripasso, in particolare, evidenzia un tentativo più esplicito nel differenziarci rispetto alla proposta oggi presente sul mercato. Parliamo, infatti, di una tipologia molto di tendenza sul territorio, che nasce sempre dalla rifermentazione di un buon Valpolicella Superiore sulle vinacce dell’Amarone: solo così, infatti, si può ottenere un Ripasso all’altezza. In quello che produciamo noi, il Capitel San Rocco, ciò che ci piace far percepire è la freschezza che si conserva grazie a un’acidità che resta viva. Altra caratteristica da sottolineare e che caratterizza la nostra produzione è il suo essere un vino secco, dunque senza residui zuccherini importanti: un vero richiamo alla Valpolicella, che evita note troppo dolci. Prende così forma una versione di Ripasso che rivela quel che noi ricerchiamo sempre in un vino: una complessità che sia in grado, al contempo, di permettere all’etichetta di esprimere la propria innata eleganza.

Il Valpolicella Superiore Maternigo in cosa si differenzia, invece, dagli altri che producete?

Innanzitutto, a caratterizzarlo è il luogo dove nasce. Pur appartenendo da sempre alla zona Classica della Valpolicella, e pur sentendoci proprio nell’intimo famiglia di produttori di questa area storica, quando ci è stata offerta la proprietà di Maternigo, che abbiamo poi acquistato nel 2006, non nego che abbiamo ben riflettuto se compiere o meno il passo di uscire da quelli che erano stati fino ad allora i nostri confini naturali. Oggi, però, vedere prendere forma nella realtà tutti i ragionamenti che, noi tre fratelli, avevamo buttato giù su carta, è sempre fonte di grande emozione. Quando parliamo del Valpolicella Superiore Maternigo, ci riferiamo a un vino che presenta il 20% di Rondinella e la restante parte suddivisa equamente tra Corvina e Corvinone. È un’etichetta che nasce da una selezione fatta in un vigneto particolarmente impervio, che presenta, su suoli calcarei, pendenze anche del 45%. Poi, dalla scelta di lasciare leggermente di più le uve sulla pianta, così da ottenere una lieve surmaturazione, e da una macerazione più lunga del solito e l’affinamento in botte grande, prende forma questo che – con La Fabriseria – è uno dei due Cru nella tipologia che meglio identificano la firma della nostra azienda.

La conca che caratterizza i vigneti di Maternigo
La conca che caratterizza i vigneti di Maternigo

Infine, giungiamo al capitolo Amarone: prima di parlare del Marne 180, però, vorrei domandarti cosa, a tuo avviso, rende davvero grande un Amarone?

Per fare un grande Amarone serve innanzitutto un grande territorio. E la Valpolicella, oggi, è una zona altamente vocata, ma che necessita di prestare più attenzione alle sue mille sfumature e peculiarità: altitudini e morfologie differenti, penso in primis a pianura e collina, non possono essere gestite alla stessa maniera. Ogni area, infatti, può produrre buoni vini, ma a condizioni ben specifiche. Ed esistono, a mio avviso, terreni maggiormente adatti a produrre Valpolicella più freschi rispetto che Amarone.

"Per fare un grande Amarone serve innanzitutto un grande territorio. E la Valpolicella, oggi, è una zona altamente vocata, ma che necessita di prestare più attenzione alle sue mille sfumature e peculiarità: altitudini e morfologie differenti, penso in primis a pianura e collina, non possono essere gestite alla stessa maniera" (Maria Sabrina Tedeschi)
“Per fare un grande Amarone serve innanzitutto un grande territorio. E la Valpolicella, oggi, è una zona altamente vocata, ma che necessita di prestare più attenzione alle sue mille sfumature e peculiarità: altitudini e morfologie differenti, penso in primis a pianura e collina, non possono essere gestite alla stessa maniera” (Maria Sabrina Tedeschi)

E con l’Amarone Marne 180 che storia di Valpolicella volete raccontare?

Vogliamo affermare con forza un principio: che, se il lavoro è portato avanti curando ogni dettaglio, qualità e volumi più importanti possono andare a braccetto. Tra i nostri Amarone, infatti, si passa dal Capitel Monte Olmi, che conta una produzione di circa 8mila bottiglie l’anno, al Marne 180, dove ci attestiamo attorno alle 150mila. Ma il punto di partenza è comune: serve sempre iniziare da una valorizzazione dello specifico terroir. E con il Marne 180 questo lo ribadiamo fin dall’etichetta, dove è iscritto, in maniera esplicita, proprio il racconto di questa scelta. Già nel nome, infatti, Marne indica la tipologia di terreno che caratterizza il vigneto. 180, invece, è il grado di esposizione delle vigne, che spaziano da Sud-Est a Sud-Ovest. Queste uve devono poi sottostare interamente, per disciplinare, al processo di appassimento: e il simbolo rosso in etichetta indica proprio l’acino al momento della raccolta, mentre quello più piccolo e dorato al suo interno è la stessa uva, ma trasformata. E ogni elemento è connesso all’altro: perché senza le Marne o la particolare esposizione, non potrebbe mai completarsi allo stesso modo questa mutazione dell’acino in oro. Da un punto di vista più generale, il Marne 180 è quello che amiamo definire il nostro “Amarone gastronomico”, l’etichetta capace di abbinarsi al meglio al cibo. Non parliamo di un Amarone “facile”: piuttosto, si tratta di un vino di buona beva, ma in grado di conservare alla perfezione la sua struttura complessa e ricca.

Fin dall'etichetta, l'Amarone Marne 180 di Tedeschi è una narrazione di un modo di concepire il vino in Valpolicella
Fin dall’etichetta, l’Amarone Marne 180 di Tedeschi è una narrazione di un modo di concepire il vino in Valpolicella

Ma se dovessi indicare uno tra questi vini a cui sei maggiormente affezionata, quale sarebbe?

Tutti vini che proponiamo sono figli nostri, quindi definire una predilezione risulta un po’ complicato. A Maternigo sono affezionata, perché è l’ultimo arrivato e da qui, per noi fratelli, è partita una nuova fase di sfide e investimenti. Ma se proprio dovessi definire una preferenza: anche se il Monte Olmi ha segnato sicuramente la nostra storia, permettendoci di farci conoscere come famiglia del vino, è il Marne l’etichetta che ci ha dato fama a livello internazionale, essendo uno degli Amarone più venduti in Canada e il simbolo con cui siamo noti nel mondo.

I fratelli Tedeschi: da sinistra, Antonietta, Maria Sabrina e Riccardo
I fratelli Tedeschi: da sinistra, Antonietta, Maria Sabrina e Riccardo

L’ultima domanda la voglio dedicare alla forma di questa nostra chiacchierata: ormai giunti al termine del lockdown, con la ripresa dell’attività che permette di tornare a incontrarsi, seppur a fronte di mille precauzioni, qual è il tuo giudizio sul tema digital tasting?

Questo del digital tasting è un incontro molto diverso rispetto al più “classico” appuntamento in fiera. Ma è qualcosa che, a mio avviso, in futuro non andrà a sostituire viaggi e visite di lavoro. Perché nel vino il valore aggiunto rimane sempre il fattore umano. Ed è proprio come riusciremo, anche in futuro, a comunicare il nostro savoir-faire e l’impegno di ogni giorno che continuerà a fare la differenza. Quando recentemente, infatti, ho avuto l’occasione di fare incontri virtuali con appassionati di tutto il mondo, che sono poi persone abituate a viaggiare e a frequentare abitualmente anche le nostre zone, la prima cosa che mi sono sempre sentita dire alla fine della degustazione è: “verremo a trovarti in azienda appena possibile”. A nuova conferma che il contatto umano non passerà mai di moda. Gli incontri virtuali, in ogni caso, presentano indubbiamente una loro utilità: rispetto a un passaggio in fiera, infatti, permettono di avere più tempo a disposizione per approfondire e consentono di dare maggiore attenzione. Quel che verranno sempre meno, invece, ritengo saranno le dirette: più se ne segue, infatti, più si nota come quelle realmente interessanti non sono poi così tante.

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