Un calo tra il 30 e il 35% del business, che si dovrebbe tramutare in una perdita attorno ai 4 miliardi di euro: questo è quello che deve attendersi il mondo del vino nostrano nel 2020. Ma non si deve disperare: secondo stime e previsioni, un pronto ritorno alla crescita è in agenda già a far data dal 2021. L’analisi UniCredit che traccia l’impatto del Covid-19 sul settore vitivinicolo italiano delinea le luci e le ombre di un momento fortemente critico. Lasciando spazio alla speranza per una pronta guarigione di un paziente che ha subito un forte trauma, è indubbio, ma abbastanza robusto per rimettersi in piedi e ripartire da dove aveva lasciato a fine 2019: gli oltre 13 miliardi di euro di fatturato complessivo, di cui 6,5 provenienti dall’export.
Tradizione e qualità: il business del vino italiano riparte da qui
Saranno la solidità delle aziende del comparto e la qualità del prodotto a permettere al mondo del vino italiano di sopravvivere allo shock di un 2020 finora da incubo. Questo quanto evidenziano le valutazioni espresse da UniCredit nella sua riflessione (realizzata in collaborazione con Federvini) dedicata al settore vitivinicolo all’interno del più ampio percorso “The Italian Way”, momento di confronto dedicato all’eccellenza del made in Italy e agli scenari economici futuri. Secondo l’analisi, il valore della tradizione e della qualità, chiavi di successo di un made in Italy fortemente riconosciuto all’estero, unite a un cambio di approccio ai nuovi mercati e modelli di consumo, con particolare attenzione alla digitalizzazione del commercio, consentiranno un graduale ritorno alla normalità già entro fine anno.
Non solo vino: c’è un intero mondo da rilanciare
Il quadro che emerge è di una filiera, quella del vino italiano, che necessita al momento un sostegno per rilanciarsi. Da una parte, infatti, in quanto fiore all’occhiello del nostro Paese, in particolare sui mercati internazionali, abbisogna di veder supportata la cruciale crescita dimensionale delle aziende, scongiurare il rischio shopping, cioè la possibilità che tante realtà di primordine divengano preda di multinazionali, ma anche sostenuta, in primis dalla finanza, la digitalizzazione come fattore chiave per la crescita. Al contempo, si evidenzia con sempre maggiore forza la necessità di un aiuto alle attività altrettanto centrali per il comparto vino e ad esso a doppio filo collegate: quelle di ristoratori, enoteche, e di tutto l’ambito dell’Horeca, al momento l’anello in maggiore sofferenza della filiera.

Il business nel dettaglio: l’impatto sul Food&Beverage
Nel dettaglio, l’indagine di UniCredit, basata su dati Cerved, evidenzia come con oltre 13 miliardi, l’industria del vino contribuisce al fatturato totale del Food&Beverage per oltre il 10% ed è certamente uno dei settori di eccellenza del made in Italy, regalando all’Italia molti primati. Con riferimento al 2020, però, per il comparto vitivinicolo a essere attesa è una flessione nettamente superiore a quella media per il settore Food&Beverage, che si attesta attorno tra il 3 e il 6%. Con un doveroso nota bene: l’entità dell’impatto sarà differenziata tra le diverse tipologie di vino e anche tra le imprese all’interno della stessa tipologia di prodotto. In questa crisi, infatti, a giocare un ruolo decisivo è il modello di business adottato dalle singole realtà.
Lo scenario 2020: Italia al palo, oltreconfine non va meglio

Lo scenario che si delinea all’orizzonte per il 2020 non è, come da aspettative, dei più incoraggianti. Il mercato interno è atteso in contrazione, a seguito delle gravi difficoltà dell’Horeca (che veicola il 42% delle vendite) e dell’enoturismo (che veicola una quota piccola delle vendite, ma ad alto margine). Anche la spesa delle famiglie è attesa in calo, a seguito della diminuzione del reddito disponibile e della conseguente ridefinizione delle priorità personali di acquisto a favore di beni ritenuti più essenziali. Ma rischi elevati coinvolgeranno anche le vendite sui mercati esteri. A far tremare sono il crollo della domanda globale, è indubbio, ma soprattutto le diverse velocità di ripresa di ciascun Paese, che generano ancor più incertezza. A venire stimata è una frenata delle vendite del 35% a volume e del 50% a valore (dati Oiv). E per l’Italia, un fattore di amplificazione del rischio export è dato dalla forte concentrazione dei mercati di sbocco del settore: oltre il 50% delle vendite oltreconfine si concentrano in tre nazioni, due delle quali – Stati Uniti e Regno Unito – risultano ancora tra le più colpite dalla pandemia e dove i consumi si sviluppano principalmente attraverso il canale dell’Horeca.
I diversi gradi d’impatto
In tema d’impatto, come si accennava, le differenze saranno molteplici. In generale, i rischi più elevati risultano per i vini di gamma medio-alta e alta, quelli che popolano in primis la ristorazione e che rappresentano le punte di diamante in ambito export. Tra le imprese, a essere meno esposte saranno quelle che dispongono di un portfolio ampio di prodotti e che possono contare su più canali di vendita, dunque molteplici sbocchi. Nel complesso, comunque, il settore non è arrivato impreparato alla sfida della pandemia, potendo contare su una buona situazione di solvibilità. Oggi, però, si segnala più di una possibilità di tensioni o crisi di liquidità specifiche, soprattutto tra le realtà più piccole e meno strutturate.

La filiera al centro: servono nuovi modelli di business
Affinché il settore riparta, a diventare necessaria e decisiva, ora, è la tenuta dell’intera filiera. Dall’agricoltore fino al distributore ultimo, sicuramente la garanzia del rispetto dei tempi di pagamento dei fornitori risulterà fondamentale. Come e altrettanto, l’attuazione d’iniziative specifiche a sostegno degli anelli più deboli, con collaborazioni, alleanze, accordi, unioni e joint venture caso per caso. E sotto questo punto di vista, le imprese più grandi potranno e devono svolgere un ruolo di primo piano nel rafforzamento della filiera dei loro territori di riferimento. A venire imposti dall’attuale crisi, in definitiva, saranno nuovi modelli imprenditoriali da sviluppare attorno ai temi più strategici per il settore. E l’innovazione, nell’attuale contesto diventerà ancor più decisiva: tanto che si parli di tecniche di produzione, quanto di organizzazione, passando per le nuove tecnologie e i nuovi modelli di gestione. “È iniziata la fase di ripartenza, ma noi del mondo del vino non ci siamo mai fermati”, chiosa Sandro Boscaini, presidente Federvini. “Certamente l’impatto della pandemia sul nostro settore è stato molto duro, soprattutto a causa del lockdown che ha determinato la chiusura di tutti i pubblici esercizi, i primi partner per la diffusione e il consumo di vini di qualità. Ma proprio grazie alla qualità, alla tradizione e contemporaneamente alla capacità di mantenere vivo il dialogo con il consumatore non è stato disperso quel patrimonio di credibilità ed empatia che abbiamo costruito nel tempo, sia in Italia sia all’estero”.