Giostra dei dazi Usa: altro giro, altra corsa. L’import europeo negli Stati Uniti ancora una volta sotto la lente d’ingrandimento dell’amministrazione Trump. E se fino a oggi i vini italiani sono stati risparmiati, l’aggiornamento delle liste in agenda a metà agosto fa tremare i produttori nostrani. E i motivi sono più che fondati: è sufficiente guardare quel che è successo ai nostri cugini d’Oltralpe da ottobre – primo mese di applicazione del dazio aggiuntivo del 25% – a oggi.
Italia a rischio dazi?
Si è conclusa domenica 26 luglio l’ennesima consultazione pubblica indetta dalla United States Trade Rapresentative (Ustr) per il nuovo “giro di giostra” che dovrebbe indicare i prodotti soggetti a dazi aggiuntivi – a partire dal prossimo 12 agosto – da parte dell’amministrazione statunitense nell’ambito del “contenzioso Boeing-Airbus”. Fino ad ora la “mannaia” delle gabelle americane ha colpito l’Italia principalmente sul fronte dei formaggi e degli spirits, risparmiando – al contrario di tutti gli altri produttori europei – i vini. Ma ora il rischio di un coinvolgimento delle etichette tricolore si fa più vivo che mai.

Gli effetti dei dazi sul vino francese: la débâcle pre-Covid
Il caso francese risulta emblematico per comprendere appieno gli impatti negativi di un inasprimento nei dazi legati all’import. Ai nostri cugini d’Oltralpe, infatti, in occasione del primo round non è andata altrettanto bene come ai produttori italiani. E così, a seguito delle misure adottate dal governo guidato da Donald Trump, i vini fermi francesi da novembre 2019 a marzo 2020 hanno subito un calo nelle esportazioni del 24% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Una riduzione che a volume è risultata più bassa (-14%) solo grazie ad un “downgrade” dei prodotti spediti. Fino ad ottobre 2019, infatti, il prezzo medio all’export dei vini fermi francesi negli Usa si aggirava sopra gli 8,5 euro al litro, mentre a marzo di quest’anno è giunto a toccare il valore minimo di 6 euro. A questa tendenza tutt’altro che confortante occorre poi aggiungere un importante postilla: il periodo preso a riferimento nell’analisi promossa da Nomisma Wine Monitor fa riferimento all’intervallo temporale che dal primo mese di applicazione piena del dazio aggiuntivo giunge fino all’ultimo pre-Covid, di conseguenza occorrerà ora riflettere anche sull’ulteriori evoluzione del trend – che difficilmente potrà essere positiva – sulla base degli effetti economici della pandemia.

Non tutto il mondo è paese
Ritornando ai numeri della débâcle transalpina a causa dei dazi, per meglio comprendere lo scenario occorre dare uno sguardo all’insieme. Il termine di paragone, infatti, giunge dalle importazioni a volume negli Stati Uniti della stessa categoria di vini nel medesimo periodo, dove si è notata una diminuzione di meno del 2%, con un trend praticamente stazionario per quanto riguarda l’Italia (-0,4%) e addirittura in crescita in merito alla Nuova Zelanda (+8%).
Vini premium nel mirino: le conseguenze dei dazi sui fine wines
“Un eventuale dazio sulle esportazioni di vini fermi italiani andrebbe a colpire soprattutto quelli di fascia alta, già fortemente penalizzati dalla chiusura dell’Horeca in gran parte degli Usa, il principale canale di vendita dei nostri fine wines”, esordisce Denis Pantini, responsabile Nomisma Wine Monitor. Una considerazione che è facilmente dedotta proprio dal calo subito dall’export francese, che non ha avuto eguali: i vini fermi spagnoli, ad esempio, nonostante siano stati anch’essi penalizzati dal dazio di ottobre 2019, posizionando sul mercato Usa con un prezzo medio notevolmente più basso hanno assistito nello stesso periodo a una riduzione del giro d’affari limitato a un -3%. “Un’ulteriore dimostrazione del fatto che gli eventuali dazi aggiuntivi andrebbero a colpire soprattutto i nostri fine wines la si desume dal crollo nell’export dei vini rossi Dop della Borgogna, che nel medesimo periodo di tempo analizzato è stato del 34%”, conclude Pantini. “E tali vini presentano un prezzo all’export superiore del 210% a quello medio dell’intera categoria di vini fermi francesi esportati negli Usa”.

Il crollo del prezzo medio: perché si prospetta uno scenario da incubo

Il danno inferto dai dazi all’export di vini fermi francesi è stato in definitiva doppiamente rilevante: se da un lato ha ridotto le quantità esportate, dall’altro ha costretto i produttori transalpini ad una rimodulazione verso il basso – in termini di prezzo – dell’offerta di vendita, nel tentativo di preservare la quota di mercato. Un brutto affare, in tutti i sensi. Come dimostrano ancora una volta cifre e numeri: basti pensare, infatti, che il prezzo medio all’export dei vini fermi francesi negli Stati Uniti è crollato dai massimi di maggio 2019 quando superava i 9,4 euro al litro ai 6 euro di marzo 2020, a fronte di un calo di oltre il 36%. Uno scenario da scongiurare a tutti i costi per il vino italiano, che molto dista nei valori medi da quelli dei cugini d’Oltralpe. Ma su cui il margine di manovra da parte dei produttori del Bel Paese risulta al momento molto ristretto. Soprattutto a fronte della grande incognita delle elezioni presidenziali statunitensi di fine anno, frangente in cui tradizionalmente le carte in gioco vengono imprevedibilmente mescolate. Per ora, quel che si può fare non è molto: se non attendere in riva il fiume e osservare lo scorrere della corrente, confidando in tempi migliori.