Sardegna, terra di mare, di sole e destinazione privilegiata per le vacanze di tanti. Anche tra gli enoappassionati. Ma per i wine lover, l’isola offre un’opportunità in più lontana da spiagge e ombrelloni. È, infatti, lo scenario ideale per godersi panorami incontaminati e orizzonti da favola anche quando si parla di vite e vino: un’offerta tutta da scoprire, tra autoctoni e internazionali, che qui si esprimono in sfumature peculiari e attraverso declinazioni differenti a cavallo di territori vocati. A dimostrarlo esemplarmente cinque realtà simbolo nel ricco scenario delle cantine di Sardegna, che vogliamo raccontarvi passando proprio per la singolarità di alcune loro produzioni.
Vernaccia fa rima con Silvio Carta: storia e anima del vino di Sardegna

Simbolo di punta del vino di Sardegna è senza dubbio la Vernaccia di Oristano. Doc dal 1971, dopo aver segnato un pesante calo di popolarità in questi ultimi decenni, sta progressivamente tornando alla ribalta con una rinnovata immagine pop, legata in primis alla sua grande versatilità, che le consente anche nel supportare le nuove tendenze della mixologia, oltre che della più raffinata gastronomia. E nell’opera di rinascita, un fondamentale contributo l’hanno offerto le Distillerie Silvio Carta, storica azienda che proprio sulla vinificazione e l’affinamento della Vernaccia negli anni ’50 pose le fondamenta della sua successiva crescita ed evoluzione. Ed è ancora la Vernaccia a essere oggi protagonista nell’offerta firmata dal fondatore Silvio e da suo figlio Elio, tanto che in questa calda estate 2020, tra le novità presentate, a fare capolino c’è proprio una Riserva di Vernaccia di Oristano Doc, che accompagna il lancio di altre due prime assolute: il Monica di Sardegna Doc e un Cagnulari Igt. Sono 14 gli anni di invecchiamento per questa nuova annata di Vernaccia di Oristano Riserva Doc, un vino che rappresenta la storia e l’anima della storica casa vitivinicola di Baratili San Pietro (Oristano). Una novità che giunge, con la nuova etichetta, a raccogliere un’eredità importante: quella della Vernaccia di Oristano Doc 2004 e della Vernaccia di Oristano Doc 1968, due prodotti capaci di mietere successi in tutta Europa. Non è difficile definire ciò di quel che stiamo parlando: un’etichetta di nobile tradizione, autentica gloria dell’enologia sarda. Un vino che già alla vista rivela, con il suo color oro profondo e complesso, un lusso poi confermato dall’esplosione di sfaccettature riscontrabili al naso (nelle note di degustazione è scritto: miele di castagno, amaretto, burro, caffè e cotognata, macchia marina e note smaltate). Infine, il palato: equilibrato, fresco, difficile da dimenticare e che chiude con note di mandorla amara. “Un vino complesso, quasi alchemico, che emoziona e affascina chi lo assaggia”, sottolineano dalle Distillerie Silvio Carta. Una produzione che, nella sua profondità, rappresenta perfettamente la terra di Sardegna e un’azienda che da sempre ha rivelato la propria inclinazione a valorizzare il più antico vino dell’Oristanese.
Un affare di famiglia: il bianco di Sardegna secondo cantina Mastio-Hofmann

Ci sono luoghi in cui il vino è un affare di famiglia. Spazi custodi di vita, lontani da ritmi frenetici e grandi città, con radici che affondano in profondità al cuore dei territori più vocati per la coltivazione della vite. È quanto accade a Galtellì, in provincia di Nuoro, borgo delle Baronie più profonde che Grazia Deledda ha cantato nel suo Canne al vento. Qui sorge la cantina Mastio-Hofmann: una realtà minuta, per cui il vino è un membro integrante della famiglia e trattare la vigna una questione di cuore. Da ormai quasi mezzo secolo, siamo innanzi al racconto del territorio sardo in tutta la sua più pura espressività, racchiusa poi in sapori, calici e uno stile di vino assolutamente inconfondibile. Sudore in vigna, quotidiana cura di ogni dettaglio: oggi sono Michele Mastio – nipote del fondatore della cantina, nonché patriarca di famiglia, di cui ha ereditato il nome – e sua moglie Paola Hofmann a portare avanti una narrazione fatta di tanta praticità. Un impegno che ha portato in cantina una nuova ventata di energia: il frutto e la conseguenza di una passione per il vino senza eguali. Quell’amore che nel 2019 ha condotto Mastio-Hofmann a rinnovarsi, aprendosi innanzitutto a sfumature e declinazioni differenti sotto un punto di vista varietale. Ed è così che, accanto al Cannonau, prima è arrivato il Vermentino, altro vitigno capace di raccontare splendidamente la Sardegna in ogni angolo del globo, poi il Montepulciano e il Sangiovese, oggi utilizzati per alcuni blend dai più raffinati contorni. Ma è il principio della rivoluzione a ergersi sul proscenio, con il Vermentino di Sardegna Doc Malicas, infatti, che rappresenta la personale e peculiare interpretazione del bianco secondo Michele Mastio e Paola Hofmann: un inno alla convivialità, perfetto per l’aperitivo e versatile negli abbinamenti gastronomici. “Il colore giallo paglierino rivela un vitigno vinificato in purezza, che qui si esprime con tutte le sue più classiche caratteristiche: un naso di frutta bianca frammista a erbe aromatiche e un palato fresco, ravvivato da leggere punte di dolcezza”, sottolineano i due titolari. Come riassumere il tutto in una sola parola? “Poliedrico”.
Tradizione e poesia del Cannonau: il coraggio di Tenute Perdarubia

Tra il 1949 e il 2020 intercorrono più di 70 anni. Ed è questa la distanza che separa l’ultima vendemmia cui si accinge Mario Mereu, attuale anima e volto della cantina Tenute Perdarubia, dalla prima realizzata dal fondatore di questo pezzo di tradizione dell’Ogliastra, della Sardegna e del vino italiano, il commendatore Mario Mereu, nonno e omonimo di chi è oggi al timone dell’azienda. Un vero pioniere di un territorio, che Mario Soldati, nel suo celebre Vino al vino definì “un artigiano puro che utilizza metodi moderni”, uomo capace di realizzare un Cannonau considerato “una Perla”. Ma in sette decenni il carattere di Tenute Perdarubia e dei suoi vini non è mutato: per una realtà che rimane viva, vivace, coraggiosa. Proprio come le ultime annate delle sue etichette simbolo: lo storico Perda Rubia e il più contemporaneo Naniha. Entrambi Cannonau in purezza, raccontano una storia comune, ma seguendo approcci differenti. Il primo dei due, caratterizzato dalla peculiarità dell’impiego del solo mosto fiore di una coltivazione ancora a “piede franco” di vecchie vigne, è un contatto diretto con la terra, un metodo antico, atavico, audace. E soprattutto, romantico. Verità e tenacia che si rintracciano anche in Naniha, che narra un’artigianalità più contemporanea, dove il Cannonau resta in purezza, le vigne sono sempre a “piede franco”, ma l’interpretazione è un concentrato di passione che ridona tutta l’identità di un vitigno dall’accezione giovane, eppure antica, al contempo storia che è dietro le spalle e futuro verso cui si rivolge innanzi lo sguardo. E così, Perda Rubia 2017 è una sonata classica: affascinante, sensuale e senza tempo, che al naso si apre in un gioco di fiori e spezie che ricorda l’estate. Naniha 2018, invece, è un buon jazz, di quelli energici e vivaci, ma eleganti: sfrontato nel bicchiere, ipnotico già al naso, pronto a esplodere al palato in un equilibrio inaspettato. Giovane, per l’appunto, eppure antico.
Una passione contemporanea: l’internazionalità di Atlantis Berchidda

È un volto moderno quello di Atlantis Berchidda, cantina dall’anima giovane e contemporanea, che guarda al mondo del vino con occhi grintosi e pieni di passione. Una realtà che guarda al futuro, anche se le sue radici sono saldamente ancorate in più di mezzo secolo di passato. A Berchidda, infatti, già il nonno di Andrea e Francesco Sannitu, Sisto, coltivava la vite. Ne prendeva forma un vino verace, semplice, prodotto per la famiglia come normale consuetudine un tempo. Oggi Atlantis Berchidda conta 16 ettari di vigneti divisi in due corpi principali, Sa Conca e Sos Ruos, ben posizionati su uno dei vertici – insieme a Monti e Tempio Pausania – di quello che è tradizionalmente conosciuto come il Triangolo del Vermentino di Gallura, l’unica Docg della Sardegna. Poesia, ma anche tanta concretezza, mito e duro lavoro quotidiano: Atlantis Berchidda riesce a unire la creatività e il guizzo tipici di chi crede profondamente in qualcosa, alla pragmaticità delle nuove generazioni. E in una trasposizione di vini, sfumature emozionali e colori, trova spazio anche il viola, conturbante e caldo come il maggio di cui una delle etichette più singolari dell’azienda porta il nome: Maju, infatti, si apre all’internazionalità, con il suo blend di Merlot, Cabernet Sauvignon e Syrah, tutti vinificati singolarmente e poi uniti in un matrimonio che parla della Sardegna, terra da sempre multiculturale, crocevia di mille popoli e tradizioni.
Tre Carignano da sogno: il Sulcis di Cantina Mesa

Questo cammino tra singolarità e peculiarità del vino di Sardegna non poteva che concludersi a tavola. Ma seguendo un’accezione un po’ diversa da quella cui si potrebbe pensare a primo impatto. In sardo come in spagnolo, Mesa significa tavola. A essere rappresentata in queste quattro lettere, però, è anche l’essenza di una realtà vitivinicola speciale. Nutrimento, convivio, amore materno, semplicità e profumi. Di terra sarda. Così nasce Cantina Mesa: dichiarazione d’amore per la Sardegna, connubio di bellezza e di bontà, celebrazione della sua generosità e della sua cultura, attraverso il vino, prezioso tesoro. Un sogno (o meglio: Il Sogno) del suo fondatore, Gavino Sanna, il pubblicitario italiano più famoso e premiato, che ha voluto creare qualcosa di straordinario, unico e semplice come la sua terra, per la sua terra. Ed è nel cuore del Sulcis, a Sant’Anna Arresi, sulle pendici di una valle riparata dai venti di maestrale e circondata dal mar Mediterraneo, che si situa Mesa. Con la cantina a dominare la pianura di “medaus” – piccoli borghi rurali, tipici della zona – e l’insenatura del promontorio di Porto Pino, che prende il nome dalla pineta spontanea di pino d’Aleppo, accostato a quercia spinosa e ginepro. Il lato più battuto, poi, è ricoperto da una macchia bassa di rosmarino e cisto. Sulle falesie spuntano rari fiori marittimi. Sulla sabbia, un’ampia prateria di posidonia. E così, ciascun chicco di ogni tralcio d’uva respira un’aria di solare pace balsamica. In particolare, la varietà che più fedelmente si ricollega al territorio: quel Carignano che proprio in Sardegna, nella zona del Sulcis, ha trovato il suo habitat di elezione, tanto da esservi riconosciuta Denominazione di origine controllata nel 1977. Ed è esattamente dove si erge Cantina Mesa, lungo la fascia costiera del Basso Sulcis, che molti dei vigneti più antichi di questo storico vitigno si allignano: là, dove le brezze marine rinfrescano le viti e l’aria salmastra dona la freschezza e la vivacità dei sapori di Carignano, favorendone la bevibilità. Tre le interpretazioni che l’azienda di Sant’Anna Arresi presenta, declinazioni che spaziano tra Buio, Buio Buio e Gavino. Il primo, Carignano che affina solo in acciaio, riesce ad esprimere i suoi tratti aristocratici e la propria ricchezza nonostante l’esuberante giovinezza: scattante e generoso, iodato e carnoso, si manifesta con tannini mordaci ma non aggressivi, che supportati dalla sotterranea sapidità donano slancio alle note fruttate e balsamiche. Per un’etichetta che –simpatica curiosità – è resa disponibile anche in un formato da 500 ml denominato Meno Buio. Riserva più complessa – affina in parte in tonneaux e barriques, di secondo e terzo passaggio per 12 mesi, in parte in acciaio, poi è assemblata in vasche di cemento dove sosta per sei mesi, fino a completare la maturazione in bottiglia per un semestre almeno – è Buio Buio: un vino ricco, pieno, appagante, che si distingue per la sua trama setosa e stratificata. Infine, l’omaggio al fondatore: Gavino, riserva che nasce da vecchie vite, le più storiche di proprietà dell’azienda sarda, una selezione davvero esclusiva di cui sono prodotte soltanto 2mila bottiglie circa ogni anno.