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Ci manca solo la Brexit: considerazioni a margine di un semestre di export

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Tanto tuonò, che piovve. Il bilancio dell’export made in Italy del vino nel primo semestre si è chiuso con un conto in rosso. E, ora, nuove nubi si affacciano all’orizzonte, non lasciando presagire nulla di buono. Con Unione Italiana Vini che lancia l’allarme, per bocca del suo presidente, Ernesto Abbona: “Il nulla di fatto nell’ultimo ciclo di negoziati sulla Brexit è motivo di forte preoccupazione per il futuro del vino italiano in un mercato fondamentale per il nostro export. Con un no deal si rischia, nella migliore delle ipotesi, una babele burocratica senza precedenti negli scambi; nella peggiore, diverse regole per l’etichettatura fino all’adozione di possibili dazi”. Serve muoversi. E farlo subito. Perché il 2020 ha già riservato sufficienti brutte sorprese e non serve se ne aggiungano di nuove.

Dal 2010, si tratta della prima volta che le spedizioni di vino all'estero fanno segnare un valore negativo nella prima metà dell’anno. Sperando che Brexit non complichi ulteriormente lo scenario
Dal 2010, si tratta della prima volta che le spedizioni di vino all’estero fanno segnare un valore negativo nella prima metà dell’anno

Un primo semestre in rosso per l’export vinicolo made in Italy

Secondo l’Osservatorio Uiv, che ha elaborato i dati Istat del primo semestre, anche l’Italia, come la maggior parte dei Paesi produttori di vino, ha sperimentato alla boa di giugno un arretramento delle esportazioni. Da gennaio a fine semestre, infatti, il saldo a volume ha registrato un -2,1%, a 10 milioni di ettolitri, per un valore sceso del 4,1%, a 2,9 miliardi di euro. Dal 2010, si tratta della prima volta che le spedizioni fanno segnare un valore negativo nella prima metà dell’anno, accompagnato per ora da una meno drastica limatura dei listini, scesi in media del 2%. A soffrire è proprio la componente legata al giro d’affari, che intacca sia gli spumanti (-8%), sia i vini fermi (-3%), in particolare quelli veicolati sul canale Horeca, che ha patito in questi mesi i lockdown decisi dai vari Paesi. E oggi si staglia sullo sfondo lo spettro del futuro dei rapporti commerciali con il Regno Unito.

I numeri dell'export made in Italy di vino nel primo semestre 2020: ora si confida che Brexit non giunga a complicare ulteriormente il quadro
I numeri dell’export made in Italy di vino nel primo semestre 2020: ora si confida che Brexit non giunga a complicare ulteriormente il quadro

Oltremanica si addensano nubi

Quello del Regno Unito è un mercato da 4 miliardi di euro complessivi per il vino dall'estero (secondo Paese importatore al mondo dopo gli Usa prima di Brexit)
Quello del Regno Unito è un mercato da 4 miliardi di euro complessivi per il vino dall’estero (secondo Paese importatore al mondo dopo gli Usa)

“L’incertezza sulle regole da adottare in tempi brevissimi sta generando fortissime preoccupazioni tra le imprese del vino in un mercato che rappresenta il terzo sbocco al mondo per il nostro export e che sta già pagando un prezzo molto alto al Covid-19”, spiega il segretario generale Uiv, Paolo Castelletti. “Nel primo semestre 2020, secondo i dati Istat elaborati dal nostro Osservatorio, la contrazione export a valore del vino made in Italy in Gran Bretagna è stata pari a quasi il 10% sullo stesso periodo 2019, con gli sparkling a -19,8%”. Lungo il periodo, da segnalare anche il calo del prezzo medio, per un valore delle esportazioni che Oltremanica ha sfiorato i 310 milioni di euro. Cifre poco incoraggianti, dunque, per un quadro che non domanda ulteriori complicazioni su uno sbocco di mercato che, nel 2019, ha acquistato vino dall’estero per quasi 4 miliardi di euro complessivi (secondo Paese importatore al mondo dopo gli Usa). “Per questo ci appelliamo all’Unione Europea affinché sia disposto un paracadute normativo transitorio per mantenere lo status quo negli scambi per un periodo di 12-18 mesi, vista l’impossibilità un adeguamento normativo in tempi così stretti”, conclude Ernesto Abbona in merito alle future relazioni in regime di Brexit.

Cosa c’è in gioco con la Brexit

L’aumento di burocrazia rischia di costare al commercio di vino britannico 70 milioni di sterline in più l'anno post Brexit
L’aumento di burocrazia rischia di costare al commercio di vino britannico 70 milioni di sterline in più l’anno post Brexit

Cosa c’è in gioco nel Regno Unito per le cantine italiane (ma più in generali continentali) lo spiega al meglio il Wsta, che rappresenta il mercato del vino in Uk. Ad oggi, Oltremanica il prodotto enologico proveniente dall’Europa non è soggetto ai test di laboratorio e ai controlli per il certificato export vino (VI-1) previsti per i Paesi terzi. Tutte le regole di certificazione, però, sono destinate a cambiare, con o senza accordo, dal 1° gennaio 2021, quando tutto il vino importato dall’Europa (il 55% di quello consumato nel Regno Unito) sarà invece soggetto a queste verifiche. Si prevede, di conseguenza, che l’aumento di burocrazia che ne deriverà genererà più di 600mila documenti cartacei – un incremento triplo per gli ispettori del settore – e costerà al commercio di vino britannico 70 milioni di sterline in più l’anno, con conseguenti rincari sui prezzi delle etichette importate e una caduta del potere di scelta per i consumatori.

Il quadro dello scenario globale al di là di Brexit

I dati del primo semestre evidenziano che l’effetto “insicurezza” spinge il consumatore a ricercare le produzioni e i brand già noti, a discapito della voglia di nuovo o di speciale
I dati del primo semestre evidenziano che l’effetto “insicurezza” spinge il consumatore a ricercare le produzioni e i brand già noti, a discapito della voglia di nuovo o di speciale

Nell’attuale scenario di mercato globale, l’Italia – meno esposta sulla piazza cinese e per ora graziata dall’applicazione di nuove imposte in Usa – sta scontando i soli effetti della pandemia sui consumi, che si stanno traducendo in una penalizzazione dei vini destinati alla ristorazione che è in parte compensata dall’aumento dei prodotti più presenti sul circuito della Grande distribuzione, con l’effetto “insicurezza” che spinge il consumatore a ricercare le produzioni e i brand già noti, a discapito della voglia di nuovo o di speciale. Ecco spiegati, ad avviso dell’Osservatorio Uiv, gli impatti pesanti per i rossi Dop, in particolare toscani e piemontesi, che segnano cali anche sulla componente volumica (-7%), mentre per ora i bianchi a Denominazione compensano sul valore con l’aumento delle forniture a volume (+5%), trainati dalle buone performance del “rassicurante” Pinot grigio in Usa e Uk. Discorso analogo per la spumantistica, dove se il Prosecco contiene le perdite a valore a -4% (con cali sia in Usa che in Uk), i Dop – quindi Metodo Classico e affini – vanno sotto addirittura del 40%. In controtendenza positiva i frizzanti (+5% volumico e +2% valore), che si confermano prodotto domestico e da tutti i giorni, indenne quindi dalle vicissitudini del canale Horeca.

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