È tempo di preconsuntivi. In attesa di comprendere cosa riserverà il rettilineo finale che conduce al Natale, momento sempre molto atteso dai produttori. E l’Osservatorio Vinitaly–Nomisma Wine Monitor, dopo aver delineato lo stato dell’arte sul mercato Usa, ha volto lo sguardo sul quadro generale, andando ad analizzare l’export di vino lungo il “semestre Covid-19”.
L’export di vino lascia per strada 1,4 miliardi di euro (tra marzo e agosto)

Lo Stop&Go tra marzo e agosto ha pesato sul commercio mondiale di vino. La fotografia indica che abbiamo assistito a una contrazione senza precedenti nella storia moderna del settore. Nei Paesi extra Ue (secondo le elaborazioni su base dogane), gli scambi complessivi di vino nel semestre preso a riferimento hanno subito un calo a valore del 15,2%, con una perdita equivalente di circa 1,4 miliardi di euro rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Il decremento più significativo è relativo alle bollicine (-28,8%), che “sgasate” dal lockdown perdono quota in tutti i 10 top importer (il 92% del mercato extra Ue). E l’Italia del vino come si colloca in questo terra desolata? In una sorta di limbo: pur registrando il peggior risultato degli ultimi trent’anni, infatti, i produttori del Bel Paese riescono a contenere le perdite e a chiudere il semestre di emergenza sanitaria a -8,6%. La performance italiana fa seguito a un eccellente avvio di anno, con il primo bimestre 2020 dove il trend ha segnato un +14,5%.
Un bicchiere mezzo vuoto per l’Italia

“In un altro periodo, l’export in calo di quasi il 9% significava crisi, oggi è una mezza vittoria se si guardano i competitor, ma il bicchiere rimane comunque mezzo vuoto e la congiuntura non aiuta”, sottolinea il direttore generale di Veronafiere, Giovanni Mantovani. “Il nostro osservatorio evidenzia uno scenario sempre più asimmetrico all’interno del comparto, e a pagare sono soprattutto le piccole e medie imprese di qualità, asse portante del made in Italy. A wine2wine exhibition & forum (22-24 novembre) faremo il punto sul settore e sulle alternative commerciali direttamente con gli attori internazionali del mercato”. Per il responsabile dell’Osservatorio Vinitaly–Nomisma Wine Monitor, Denis Pantini: “Il semestre marzo–agosto ci consegna una pesante diminuzione nelle importazioni di vino dei mercati terzi, dove l’Italia sembra soffrire meno rispetto alla Francia alla luce di una distribuzione dei propri vini più equilibrata tra on e off trade, anche se i pessimi segnali che stanno giungendo sulla seconda ondata della diffusione del Covid-19 rischiano di appesantire ulteriormente la perdita, considerando che solitamente l’ultimo trimestre arriva ad incidere per circa il 30% sull’export complessivo dell’anno”.

L’export di vino nel “semestre Covid-19”: un confronto tra Italia e Francia

Stati Uniti e Svizzera, rispettivamente la prima e la terza destinazione per il prodotto tricolore, sono i Paesi che hanno contribuito a rendere meno amaro il calice italiano fino ad oggi. Da una parte, negli Usa (-8,1%) la performance è stata meno drammatica di quella francese (-40,1%), stroncata dai dazi aggiuntivi. Dall’altra, la Svizzera è addirittura andata in terreno positivo (+7,5%). Tra Italia e Francia, la differenza nel computo finale del semestre sta anche nella Cina, che segna un piano sempre più inclinato per entrambe (-38%), ma i cui pesi, e relative ripercussioni, sono ben differenti. Per Il Bel Paese del vino, infatti, il deficit si traduce in 26 milioni di euro. Per i nostri cugini d’Oltralpe, invece, il conto è un rosso da 122 milioni di euro. Il “semestre Covid-19” ha poi inciso notevolmente in termini di quote di mercato nell’extra-Ue tra i due market leader, con la Francia che perde cinque punti e scende al 29,3%, mentre l’Italia recupera un po’ di svantaggio e sale al 23,5%. Infine, da segnalare un mercato del Regno Unito in crisi e su cui si addensano anche le nubi della Brexit: -9,5% per il vino tricolore e -21,6% per i transalpini, con gli sparkling in netta controtendenza sugli ultimi anni, in particolare per Parigi (-41,9%, Roma a -17,4%). Ed è proprio questa tipologia a calare di più anche in termini assoluti, con un crollo del 38,5% delle bollicine francesi e del 12% per gli spumanti italiani.
Il bilancio extra Ue: sparkling in picchiata

È di 7,7 miliardi di euro il valore delle importazioni di vino nei Paesi terzi nel “semestre Covid-19”, a fronte di 9,1 miliardi di euro registrati nel pari periodo del 2019. A perdere, sono otto tra i 10 top buyer considerati e tutti i primi cinque principali importatori extra Ue: Usa (-20,7%), Uk (-6,8%), Cina (-35,5%), Canada (-7,9%) e Giappone (- 17,5%). A farne maggiormente le spese proprio la tipologia che è cresciuta di più negli ultimi anni: gli sparkling, infatti, pagano con un -28,8% e trend negativo in tutte le piazze della domanda, con quella statunitense che lascia per strada oltre un terzo delle vendite in valore. Perdono la metà rispetto alle bollicine i fermi imbottigliati (-14,7%), a partire dalla Cina (-35,8%), con cali sopra la media anche da parte di Usa e Australia. In generale, la (vistosa) contrazione del prezzo medio è da riportare a due fattori: le grandi difficoltà del canale Horeca (di conseguenza dei vini a maggior valore) e le condotte speculative lungo la filiera.
