Niente vino, siamo lombardi. Almeno dopo le 18. Sembra passato un secolo dal 24 agosto scorso, quando scrivevamo della campagna #IoBevoLombardo. Già, perché tra le misure contenute nell’ordinanza che il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, ha firmato venerdì scorso per contenere i contagi da coronavirus è imposto anche lo stop alla vendita da asporto di vino (e alcolici in genere) allo scoccare dell’ora dell’aperitivo. Un’ordinanza che coinvolge bar e ristoranti della movida, ma anche enoteche, negozi di diverso genere e grado, supermercati. Con il nota bene che il variegato ecosistema Horeca può continuare regolarmente il servizio al tavolo tra le 18 e le 24, orario in cui è previsto per tutti, per decreto nazionale, il “tirà giò la clèr” (chiudere il negozio, per i non avvezzi al milanese). Dalle 18 di sera alle 6 del mattino, in ogni caso, è fatto divieto di bere e mangiare in aree pubbliche.
Asporto di vino e difformità di trattamento: in negozio no, sull’app sì

Quella firmata Fontana è un’ordinanza che definire assurda è poco: di fatto, con il “neoprobizionismo alla lombarda” non è consentito di uscire dopo le 18 da un negozio o un supermercato con una bottiglia da consumare in casa, ma al contempo è offerta la possibilità di ordinarla online o da app, facendosela recapitare comodamente seduti sul divano. E così, la disposizione apre a una difformità di trattamento tra attività commerciali, che si configura, ipso facto, come un via libera istituzionale a una forma piuttosto evidente di concorrenza sleale. La misura, inoltre, deprime in maniera abbastanza chiara e diretta i consumi e le vendite di un settore che molto ha già sofferto per via del lockdown, andando a penalizzare ulteriormente le aziende di un comparto che dopo una buona estate confidavano nel Natale per rialzare definitivamente la testa e ripartire con maggiore carica di prima giunto l’anno nuovo.