37,7 miliardi di euro: sono le perdite registrate dai ristoranti italiani nell’annus horribilis del Covid-19, pari a circa il 40% dell’intero fatturato annuo. I drammatici dati 2020 del settore sono stati diffusi da Fipe – Confcommercio, Federazione Italiana dei Pubblici Esercizi, insieme alle principali sigle sindacali del Commercio e del Turismo, Filcams Cgil, Fisascat Cisl e Uiltucs Uil. Con il colpo più duro al comparto arrivato dalle chiusure di novembre e dicembre.
Una fine 2020 da incubo per i ristoranti italiani

Storicamente, nel periodo delle festività dicembrine per una parte rilevante dei locali si arriva a generare fino al 20% del fatturato annuo: nel quarto trimestre 2020, invece, le perdite registrate hanno superato i 14 miliardi di euro, con un meno 57,1% dei ricavi, peggio ancora di quello che era successo nel secondo trimestre, quello del primo lockdown. Tra zone rosse, arancio e gialle, la fine anno ha di fatto vanificato gli sforzi estivi, che pure avevano portato ad un contenimento delle perdite in alcune aree turistiche del Paese. Le grandi città, ed in particolare quelle d’arte, dove ha pesato di più l’assenza del turismo internazionale, non hanno invece beneficiato nemmeno della tregua estiva, registrando perdite complessivamente superiori all’80%.
Sacrifici e conti che non tornano
“La ristorazione italiana non ha pace: ogni volta che si avvicina la scadenza delle misure restrittive, ne vengono annunciate di nuove e si riparte da zero”, Lino Enrico Stoppani, presidente di Fipe-Confcommercio, evidenzia i contorni di un vero e proprio dramma. “Così anche il primo provvedimento del 2021 ha disposto la chiusura di bar e ristoranti nei fine settimana, lasciando gli imprenditori nell’incertezza dall’11 gennaio in poi, con i danni e le distorsioni che ne conseguono”.
“Chiediamo a Governo e Comitato Tecnico Scientifico di dare prospettive diverse – più certe, ma anche più motivanti – ad un settore che ha pagato un prezzo altissimo, ma soprattutto che ha già dimostrato di poter lavorare in totale sicurezza”.

“Non è più accettabile che i pubblici esercizi, insieme a pochi altri settori, siano i soli a farsi carico dell’azione di contrasto alla pandemia, richiesti di un sacrificio sociale non giustificato dai dati e non accompagnato da adeguate e proporzionate misure compensative. È indubbio che per uscire da questa crisi ci sia bisogno del contributo di tutti, ma proprio per questo non si può imputare sulle spalle sempre delle stesse categorie il peso del contenimento della pandemia, affossando nel frattempo un settore strategico per l’economia del Paese e per la vita quotidiana delle persone”.