C’è un Veneto che “resiste”. No, non si parla di rivendicazioni territoriali, ma di innovazione. Quella portata nel mondo del vino da una particolarissima tipologia di uve: il frutto dei vitigni Piwi. Una sigla curiosa, che si riferisce a un termine tedesco (Pilzwiderstandfähig), che – tradotto in italiano – significa “resistente ai funghi”. Ma per chi frequenta filari e cantine questa parola assume anche un altro valore: parla di futuro. Indica, infatti, quella serie di vitigni ottenuti tramite impollinazione tra Vitis Vinifera e vite americana: incrocio dopo incrocio, nel tempo si è scoperta la loro capacità di opporsi naturalmente, come ben spiega il nome, alle malattie fungine, quali oidio e peronospora. Un elemento non secondario, peculiarità che consente di limitare ad un massimo tra i due e i quattro ogni anno i trattamenti necessari con rame e zolfo, diminuendo così l’impatto ambientale. Non a caso, sono realtà fortemente indirizzate a una lettura in chiave green della propria essenza di produttori e al sacro rispetto del territorio le più inclini a sperimentare con i vitigni Piwi. Proprio come accade per tre emblematiche realtà del sapere enologico veneto, come Giusti Wine, Pizzolato e Terre di Cerealto.
L’ibrido al cuore del Montello: la scelta di Giusti Wine
Quando si parla di ibrido, la mente corre immediatamente al mondo delle automobili. Oggi, in questa direzione, si vive una tendenza sempre più marcata, se non inarrestabile. Quando ci si riferisce, invece, al vino, siamo ancora al tempo dei pionieri. E sulle vocate colline del Montello, Giusti Wine è una tra le prime realtà a credere nei vitigni Piwi.

“Gli ibridi resistenti sono una grande opportunità per rendere la produzione sempre più in armonia con l’ambiente”, sottolinea Ermenegildo Giusti, fondatore della Giusti Wine, ribadendo il costante impegno della cantina trevigiana nel ridurre l’utilizzo di sostanze chimiche in vigneto.
“Nonostante siano approvate da alcuni anni e iscritte nel Registro nazionale delle varietà di vite, oggi queste varietà sono ancora poco diffuse”.
Lo spirito innovatore della realtà di Nervesa della Battaglia, tuttavia, ha portato a sperimentare sul Montello il Merlot Korus e il Sauvignon Nepis. Ed è proprio quest’ultimo a venire utilizzato per la produzione del Sant’Eustachio, il vino bianco Igt più importante della cantina veneta e già in commercio dallo scorso anno.


Un vero precursore: il Sant’Eustachio Giusti Wine è, infatti, la prima etichetta dell’azienda a utilizzare il Sauvignon Nepis in blend con lo Chardonnay e, soprattutto, l’Incrocio Manzoni, vitigno strettamente legato al territorio trevigiano, ottenuto per la prima volta alla Scuola enologica di Conegliano nel 1924 dal prof. Luigi Manzoni.
Spiega il fondatore:
“Il mio concetto di rispetto per l’ambiente va oltre il biologico”.
“Sperimentare i vitigni resistenti significa per me aprire una nuova porta verso il futuro e ridurre ulteriormente l’impatto ambientale delle nostre produzioni”.

La scelta di coltivare ibridi resistenti non ha effetti soltanto lato produttivo, ma anche sul versante paesaggistico. Sono proprio queste viti a ricoprire il tetto che riproduce l’andamento dell’ambiente circostante la Tenuta Ava e fa da cornice al belvedere della nuova avveniristica cantina Giusti Wine, sviluppata su cinque piani in gran parte ipogei.
“Lo abbiamo fatto per rispetto nei confronti dei nostri visitatori”, conclude Giusti. “Vogliamo che, nella loro esperienza, si sentano immersi nella natura quasi fossero in un giardino di casa”.
Il Veneto “bio” per vocazione: Piwi e viticoltura sostenibile secondo Pizzolato

Sono tre i vini ottenuto da vitigni resistenti che portano la firma Pizzolato, la cantina trevigiana “bio” per vocazione. Una conferma, anche nel caso della realtà di Villorba (Treviso), di un impegno mai domo nella ricerca di una viticoltura sempre più sostenibile. Un rosso da Merlot Khorus, Cabernet Cortis e Prior, un bianco fermo da uve Bronner e un vino frizzante Pét Nat da uve Johanniter sono i protagonisti della sperimentazione “resistente”. Il risultato di un progetto sui vitigni Piwi cui Settimo Pizzolato ha dato il via nel 2017. Un impegno che ha preso inizialmente forma con 15.200 barbatelle piantate dallo stesso patron dell’azienda trevigiana su una superficie di 4,3 ettari.

Il progetto ha mostrato da subito il suo grande potenziale:
“Se dal punto di vista enologico le varietà Piwi impiantate stanno dando risultati interessanti”, racconta Settimo Pizzolato. “Anche in vigneto, fino ad ora, la viticultura ad esse legata ha mostrato più vantaggi che svantaggi”.
“Pur essendo varietà delle quali si conosce ancora poco circa l’adattabilità ai terreni, dimostrano di reagire bene nelle zone dove sono stati messi a dimora, rendendoci ottimisti nel percorrere questa via ai più sconosciuta”.


Un progetto ambizioso, al quale la cantina si è dedicata con grande entusiasmo e investimento di risorse. Con un importante nota bene: l’iniziativa non ha la presunzione di soppiantare le varietà autoctone, bensì contribuire a ribadire la centralità della salvaguardia dell’ambiente e delle persone che lo abitano, portando avanti la visione aziendale per una viticoltura sostenibile al 100%.
Il progetto firmato Pizzolato presenta, sotto questo aspetto, diversi spunti di profondo interesse. Se da una parte, infatti, ha visto la realizzazione di un vigneto nel quale sono state impiantate molte varietà resistenti ammesse nel disciplinare Veneto, dall’altra, si declina con l’impianto monovarietale di singoli vitigni Piwi selezionati dopo una lunga ricerca al fine d’identificare quale si adattasse meglio al terroir della zona del Piave.

Da questa scommessa sostenibile hanno, poi, preso vita Ho’opa, Huakai, e Konti-Ki, rispettivamente un vino frizzante Pét Nat da uve Johanniter, un bianco fermo da uve Bronner e un rosso da Merlot Khorus, Cabernet Cortis e Prior che si sono aggiunti nel 2020 al Novello da uve Merlot Khorus e Cabernet Cortis presentato a novembre 2019.
Ognuno di queste novità rappresenta la tappa di un cammino – dalla partenza al viaggio, il mezzo e la meta – verso un mondo ancora inesplorato. Un ecosistema raccontato anche visivamente sulla bottiglia grazie a delle etichette “parlanti” e da una libellula, simbolo di un’agricoltura pulita e ambasciatrice che spiega l’universo dei Piwi.

I Piwi delle Piccole Dolomiti: Terre di Cerealto
Spostandosi, infine, nel vicentino, su un altopiano in frazione Valdagno, troviamo la cantina Terre di Cerealto. Una realtà molto particolare, nata nel 2015 dall’idea degli amici Massimo Reniero e Silvestro Cracco. I vigneti si estendono in soli 2,7 ettari e vengono allevati a oltre 700 metri di quota, in un territorio incontaminato che si affaccia sulle Piccole Dolomiti. E proprio per rispettare al massimo il fragile ecosistema pedemontano, al momento della selezione dei vitigni, la scelta è spontaneamente ricaduta sui Piwi.

I primi impianti sono stati di Johanniter (vitigno a bacca bianca ottenuto nel 1968 in Germania da un incrocio di diversi Riesling) e Bronner (nato in Germania nel 1975 dall’incontro tra Merzling e Sankt Laurent), che occupano rispettivamente 0,64 e 1,30 ettari, a cui sono stati da poco aggiunti 0,7 ettari di Sauvignier Gris, per un totale di otto diversi cru.
Due sono oggi i vini interamente da vitigni resistenti che presenta questa pioniera realtà “resistente” in Veneto: Cerealto e Pèrge.


Il primo, bianco fermo Igt, è un blend tra il carattere e la personalità del Johanniter (60%) e la finezza e l’eleganza del Bronner (40%): un vino aromatico e dall’acidità vibrante, perfettamente equilibrato. Il secondo, invece, è frutto della ricerca di Terre di Cerealto sulle uve Bronner, proposte in purezza in un Metodo Classico Pas Dosè Blanc de Blancs. Pèrge, che deve il suo nome al sostantivo utilizzato dal popolo cimbro per indicare i monti, vede la magia della fermentazione delle uve svilupparsi in barrique di rovere francese, dove continua per sei mesi anche la vinificazione, regalandogli intense note floreali e minerali.

Terroir differenti, dunque, vini diversi, ma tutte sfumature, quelli di Giusti Wine, Pizzolato e Terre di Cerealto, di un mondo e di uomini che guardano al domani, proprio al cuore di una delle culle più conosciute del vino italiano.