Molto rumore per nulla. E per l’ennesima volta, la fonte di tanto inutile chiasso è sempre la stessa: un nuovo forviante comunicato di Coldiretti, che come da tradizione grida “al lupo, al lupo”, quando di pericoli reali all’orizzonte se ne vedono pochi. Almeno, ad andare a verificare fino in fondo l’ennesima “notizia” che notizia in realtà non è. Perché nulla è stato deciso. E se tutto è ancora in discussione, occorre anche sottolineare che il tema è d’interesse lato export e occorre sia affrontato con precisione. Stiamo parlando ovviamente del tormentone degli ultimi giorni: quello del vino senza alcol su cui si sta discutendo, in sede Ue, la possibilità di aggiunta di acqua nel processo di produzione.
La “congiura” di Bruxelles e l’improbabile comunicato di Coldiretti

Abbiamo atteso qualche giorno, affinché i contorni dello scenario fossero più chiari, prima di esprimerci. Ma il nuovo tormentone coldirettiano che ha animato il weekend social di tanti produttori e politici (bipartisan, si noti bene) ha preso il via il 6 maggio, con un comunicato piuttosto esplicito fin dal titolo: “Ue: ora Bruxelles vuole annacquare il vino”.
Questo l’attacco del copione recitato da Coldiretti:
“Togliere l’alcol dal vino ed aggiungere acqua è l’ultima trovata di Bruxelles per il settore enologico già sotto attacco con la proposta di introdurre etichette allarmistiche per scoraggiarne il consumo previste nella Comunicazione sul Piano d’azione per migliorare la salute dei cittadini europei”.
Un j’accuse che poi prosegue con una sconclusionata esposizione del presunto “complotto” delle massime autorità Ue (di cui si sbaglia anche a definire nomine e competenze) contro i produttori di vino del continente:
“È quanto afferma la Coldiretti nello svelare i contenuti del documento della Presidenza del Consiglio dei Ministri Ue (sic) in cui viene affrontata la pratica della dealcolazione parziale e totale dei vini. La proposta prevede di autorizzare nell’ambito delle pratiche enologiche l’eliminazione totale o parziale dell’alcol con la possibilità di aggiungere acqua anche nei vini a Denominazione di origine. In questo modo viene permesso ancora di chiamare vino, un prodotto – sottolinea la Coldiretti – in cui sono state del tutto compromesse le caratteristiche di naturalità per effetto di trattamento invasivo che interviene nel secolare processo di trasformazione dell’uva in mosto e quindi in vino. Un inganno legalizzato per i consumatori che si ritrovano a pagare l’acqua come il vino che non potranno neanche fare appello alla tradizionale canzone popolare romanesca ‘La società dei magnaccioni’ di Gabriella Ferri che recita: Se l’oste ar vino ci ha messo l’acqua, E noi je dimo e noi je famo, C’hai messo l’acqua Nun te pagamo ma però”.
Vino senza alcol e tanto altro ancora: una “non notizia” fortemente esagerata

Il comunicato coldirettiano non si ferma però agli stornelli romaneschi, ma accoglie anche il commento allarmato e allarmante del presidente Ettore Prandini. E poi va oltre, parlando anche di vino senz’uva e di tanto altro ancora (per chi sentisse il desiderio di proseguire nella lettura, lo trovate a questo link).
Già Jacopo Cossater su Linkiesta ha spiegato in maniera chiara tutti gli errori contenuti nella denuncia di Coldiretti e i contorni di una polemica enologica che di fatto non esiste.
E successivamente anche nella sezione dedicata alle questioni comunitarie, la redazione del magazine online Il Post ha ricostruito con dovizia le posizioni dei principali attori della filiera e i contorni di un negoziato complesso: quello sulla nuova Pac e l’Organizzazione comune dei mercati.
Se dunque, in merito, si rimanda ai due articoli, per evitare di ripetere il già detto, quel che preme sottolineare è l’ennesimo cortocircuito comunicativo accesso da Coldiretti.
La discussione in sede Ue spiegata bene (da chi la sta portando avanti)

È un cortocircuito, quello coldirettiano, fondato su bozze e ipotesi di discussione, neanche su testi approvati in via definitiva. Come ha avuto modo di spiegare fin da subito e con estrema precisione Paolo De Castro, coordinatore S&D alla Commissione Agricoltura del Parlamento Europeo.
L’eurodeputato, in una dichiarazione ufficiale, ha spiegato i dettagli di quanto sta accadendo in sede comunitaria. E il riferimento è all’accordo tra presidenza del Consiglio, attualmente a guida portoghese, con il ministro dell’Agricoltura Maria do Céu Antunes, Parlamento e Commissione Ue, emerso nell’ultimo trilogo dell’Ocm Vino.
Spiega De Castro:
“È vero che il 26 marzo scorso al Trilogo tra Commissione, Consiglio e Parlamento Ue si è discusso di un possibile accordo che apra alla pratica di eliminazione dell’alcol nei vini da tavola, e solo parziale in quelli a Indicazione geografica. Ma noi restiamo convinti che un vino senza alcol non può essere definito tale. Per questo il Parlamento si è sempre espresso contro, anche se comprendiamo le opportunità commerciali e d’export che vini a basso tenore alcolico avrebbero in alcuni mercati, anche per fronteggiare la concorrenza di altri prodotti alcol-free, e in tutti quei Paesi dove si consumano solo bevande analcoliche”.
Per l’europarlamentare Pd, “in ogni caso, alla base di qualunque decisione e futura norma in materia, le informazioni riportate sulle etichette dovranno essere chiare per tutti i consumatori, dando loro la possibilità di compiere scelte di acquisto pienamente informate anche in merito alle pratiche enologiche eventualmente utilizzate per consentire l’estrazione di alcol, soprattutto nel caso in cui questo avvenga tramite l’aggiunta di acqua”.
Sull’apertura del mercato a vini totalmente senza alcol, De Castro precisa anche un altro elemento decisivo:
“Occorre sottolineare che nessuna norma potrà essere imposta ai viticoltori, perché la scelta finale su un’eventuale modifica del proprio prodotto rimarrà nelle loro mani, con i necessari cambiamenti dei rigidi disciplinari interni di produzione”.
Che tradotto significa: nonostante gli allarmi di Coldiretti, non è in previsione nel prossimo o in un lontano futuro un Barolo, un Brunello, un Amarone, un Bordeaux, uno Champagne senz’alcol e allungati con l’acqua senza che prima si cambino le regole che ne disciplinano la produzione.
Vino senza alcol: opportunità di mercato o pericoloso cavallo di Troia?

Preso atto di questo, c’è da aggiungere un non secondario dettaglio. Ed è quello legato alla richiesta di mercato. Come ha avuto modo di evidenziare ancora una volta De Castro in una dichiarazione rilasciata a WineNews, parlando dell’opportunità che i grandi produttori stanno riscontrando in diverse parti del mondo sul tema vino senza alcol:
“L’esempio più calzante, emerso anche durante il trilogo, è quello dei Paesi Arabi. Non andiamo a togliere nulla a quanto già esiste, creando un’enorme possibilità in quei mercati che non consumano bevande alcoliche. Così come la birra analcolica si è creata un suo mercato, non escludo che il vino possa fare altrettanto. Su una cosa, però, voglio essere chiaro: chiamare vino una bevanda a base di succo d’uva dealcolato non ha oggettivamente nulla a che vedere con il vino. Dopodiché, per alcuni produttori può essere un’opportunità, ma da qui a definirlo vino ce ne passa”.
In definitiva, secondo il coordinatore S&D alla Commissione Agricoltura del Parlamento Europeo, “fare una bevanda a base di uva dealcolata, per conquistare nuovi mercati, ha un senso. Aprire questa possibilità ai vini a Denominazione invece non ha senso, ma guarderemo bene l’accordo finale e cercheremo di fare norme nazionali per evitare almeno dal punto di vista culturale, per i grandi Paesi produttori, di chiamare vino una bevanda che con il vino non c’entra nulla”.
Chiare, dirette, ma soprattutto spiegazioni che tutto appaiono tranne quelle di un “pericoloso” complottista.
Basta non chiamarlo vino: quel su cui serve essere chiari senza fare allarmismi

E per chiarire ancora meglio la sola posizione ragionevole che si può attualmente tenere sul tema, dal mare magnum di dichiarazioni giunte sotto forma di comunicati stampa o interventi mezzo stampa, riportiamo un estratto delle parole di Luca Rigotti, Coordinatore del settore Vino di Alleanza Cooperative Agroalimentari, dove è colto perfettamente quel che è necessario precisare in questa fase di discussione:
“Non si può chiamare vino un prodotto assai lontano da quello originale in cui è prevista l’aggiunta di acqua”.
“Si tratta di un errore che andrebbe a snaturare completamente le caratteristiche di un prodotto dalla tradizione millenaria, oltre a costituire anche una mancanza di trasparenza nei confronti del consumatore”.
“Siamo molto preoccupati dal nuovo approccio che sembra emergere nei testi che stanno circolando”, prosegue poi Rigotti, evidenziando dove si collochi l’essenza del problema.
“Nella proposta iniziale della Commissione, vino dealcolizzato e parzialmente dealcolizzato dovevano andare a costituire due nuove categorie di vino. Nel nuovo testo, essi diventano invece il mero risultato di una pratica enologica che andrebbe ad applicarsi alle categorie di vino già esistenti (fermo, frizzante, spumante, eccetera). Pur concordando sulla opportunità che tali regole trovino spazio in Regolamenti del settore vitivinicolo e pur non essendo a priori contrari ai vini a bassa gradazione alcolica, considerando che essi rappresentino un’opportunità commerciale, specie in alcuni paesi, la nostra posizione è che essi debbano essere chiamati diversamente, ad esempio ‘bevande a base di vino’”.
Ed è questa la battaglia che il mondo del vino è chiamato a portare avanti. Senza allarmismi inutili, senza barricate preventive, senza perdere tempo dietro le grida “al lupo, al lupo” di Coldiretti.