L’abbinamento tra vino e sigari è rinomato. Il connubio tra i calici di Sartori, in particolare l’Amarone, e l’eleganza di Davidoff è tutto da scoprire. Se poi questa entusiasmante sinestesia, dall’olfatto al gusto passando per la vista e l’udito, si verifica all’Arena di Verona per la Turandot di Puccini (di cui sia Sartori sia Davidoff sono tra gli sponsor storici), i sensi si inebriano ed è garantito il caleidoscopio di sapori, odori e sentori. Una vera esperienza, che si cementa nelle passioni di Andrea Sartori, presidente della Casa Vinicola omonima, appassionato di sigari. E che si declina in un rapporto con la città unico, fondamentale e imprescindibile.

Perché per Andrea Sartori, come spiega nell’esclusiva video intervista che trovate in questa pagina, la restituzione al territorio, a Verona in particolare, è un atto di amore che si ripete da più di un secolo. Da quando la Casa Vinicola opera nel Valpolicella e ha assistito dalla nascita dell’Amarone, diventando un vessillo di questo vino così apprezzato ma anche così poco conosciuto. Per esempio, pochi sanno che è “nato” negli anni ’40, durante la Seconda Guerra Mondiale, e che ha avuto un successo crescente a cavallo del cambiamento d’annata, per poi essere acclamato nei primi anni ’50.
Anni che hanno visto la parallela crescita dell’azienda di famiglia da cui discende Andrea Sartori, che a sua volta è capostipite di un “nuovo ciclo” come vi abbiamo ampiamente spiegato nella nostra intervista a marzo.
L’Arena, i sigari, la tradizione
Ebbene, la video intervista oggetto di questo articolo registrata proprio in occasione della visita a Verona e alla Casa Vinicola siamo andati oltre. Abbiamo esplorato la nascita dell’Amarone (sapete perché si chiama così? La risposta è nella nostra video chiacchierata), ma anche come Sartori sta sviluppando questa “seconda vita” targata Luca e Andrea e come il mercato reagirà nei prossimi mesi.
Andrea Sartori, Davidoff in mano, ha offerto una visuale privilegiata su questo mondo, su come si costruisce un’identità puntando su ordine, pulizia, schiettezza e qualità.
Su come 15mila bottiglie all’anno di Amarone siano frutto di un lavoro quotidiano di attenzione ai dettagli, alle esigenze dei consumatori e di cura e valorizzazione dei partner. Come il contesto ecosistemico dato dalla città, dalla Valpolicella, dal sangue e dall’uva sia sintetizzato in una sorta di bandiera della cultura, certo vinicola ma non solo.
L’esperienza Sartori inizia il venerdì sera rispettando la tradizione veronese: la cena al ristorante con vista Arena, la Turandot (sensazionale nella sua commistione tra il classico Puccini e le potenzialità date dall’elettronica con gli immensi led wall ad arrichire la scenografia), e il dopo cena tradizionale, a base di dolci e non solo.
Piatti semplici ma sofisticati, impreziositi dalla selezione di bianchi e rossi Sartori e corroborati dalla selezione, tra l’altro, di Signature. Perché il sigaro non si fuma ma si assapora: il legame con il vino è presto fatto. Ed è incredibile come Amarone e Davidoff trovino perfetta armonia e consonanza sul palato, così come Puccini ha creato la medesima esperienza tra musica e parole. Lo spartito è la lingua, che sublima l’accordo con eleganza e raffinatezza. Sì, perché se l’Amarone trova nuova struttura nell’intreccio, Davidoff fa scoprire come il sigaro sia puro gusto e sapore, ben lontano dal concetto di fumare.
Visita alle Casa Vinicola Sartori
La visita alla Casa Vinicola Sartori ci ha permesso di scoprire laddove si è sviluppata la storia secolare della famiglia Sartori. Tra aneddoti e un ordine come fondamenta di ogni processo. La Villa è stata da palcoscenico degli esperimenti vinicoli prima dell’arrivo dei nazisti, che l’hanno trasformata in una santabarbara, per poi tornare alla famiglia nell’immediato dopo guerra in cui il vino è tornato protagonista.
Alle spalle della Villa ci sono culture vinicole, di lato c’è addirittura una chiesa nel quale si sono tenute le cerimonie di nozze di praticamente tutti i membri della famiglia nel corso della storia recente. Il grande parco è stato protagonista delle “gare” in auto dei fratelli Sartori (Andrea e Luca) fin da giovanissimi.
Ogni angolo è pregno di storie ma è anche ricco di stimoli per rinnovare il rapporto con la natura, in cui ritrovare spazio per se stessi e per ritmi che sono ormai andati perduti.
Nulla è fuori posto. Ogni cosa ha un senso, compreso il fitto bosco di bambù. I cui steli venivano intrecciati per creare le cassette su cui fare appoggiare l’uva durante l’appassimento per l’Amarone. Oggi si usano tecniche più moderne ma nemmeno così tanto: sono cambiati solo i materiali.
Lo chiediamo: il digitale e la tecnologia possono creare più efficienza e innovare oppure rimarrà sempre e per sempre un’impronta fondamentalmente artigianale?
Andrea Sartori non ha dubbi: “Nuovi materiali aiutano, il digitale e le risorse informatiche possono creare opportunità di ripensare ad alcuni aspetti del lavoro, ma il vino è un prodotto che si radica nella natura e nel rapporto stretto di rispetto tra uomo, terra e uva. Nulla potrà sostituire l’uomo e i processi naturali“.
Così si scendono due rampe di scale, venti gradini che separano il parco e la villa dai circa 4mila metri quadrati delle cantine. In cui si cammina in una commistione tra le strutture storiche e le soluzioni attuali, affidate barrique e vasche che non aggrediscono il liquido e, al contempo, rispettano il legno. Ancora una volta, “è nel rimanere fedeli, ma innovando, alla tradizione e alla qualità che si fa la differenza”, spiega Sartori.
Andrea Sartori lo sa bene e le cantine sono caratterizzate da ordine, pulizia e da un leggero ma inebriante odore di uva. Nulla di più: “Il vino, quello buono, si ottiene in un ambiente curato, attentamente gestito per valorizzare ciò che sta avvenendo all’interno delle botti”. Tutto il resto è ininfluente. La conferma di come questo approccio sia quantomai efficace si ha aprendo una bottiglia della Casa Vinicola Sartori: eleganza, profumo, gusto e virtù. Semplice, forse, ma non banale.