Il made in Italy è in fermento. Quello del vino, soprattutto, perfettamente in simbiosi con quel ribollir dei tini della stagione in corso. Ma la stagione del vino è tutta speciale quest’anno. E non solo per l’annata che si preannuncia grande millesimo, almeno per chi ha resistito a variabili come troppo caldo, grandinate, siccità, troppa pioggia tutta insieme e via dicendo. Chi ce l’ha fatta, vuoi per resilienza, vuoi per la sorte (non tutte le esposizioni portano con sé gli stessi guai): sa che la quantità non è abbondante, ma la qualità sì. E soprattutto, per tanti motivi, tutti interessanti, passando senza respiro dalla vigna, alla vendemmia, al fare il vino in cantina, al promuoverlo fuori, il mondo del vino non si è fermato mai. Ha preso al volo tutte le occasioni: di promozione, di eventi, di degustazioni, di partecipazione, perché per troppo tempo – quasi due anni – è stato costretto ai box. E sono stati fermi alcuni suoi canali strategici, Horeca in primis. Così, in questi ultimi tre mesi, il tour de force è un via e vai di vini di qualità che si presentano all’assaggio. E, insomma, abbiamo tutti, anche noi osservatori e comunicatori, corso di qua e di là per testare, parlare, capire. Milano, Verona, Merano, sono state tutte capitali del vino Special Edition, mentre le grandi esposizioni si riorganizzano per tornare alle stagioni normali del vino (pensiamo a Parigi, Dusseldorf, Vinitaly e via dicendo). Molti consorzi hanno però già approfittato di queste ripartenze per farsi trovare pronti, con un racconto profondo di territorio, comprendendo quanto oggi sia il momento giusto per riannodare il legame con le radici, ciascuno col proprio territorio. Lo hanno fatto tutti e ancora lo stanno facendo. Ognuno a modo suo. E un esempio è stato l’evento promosso una settimana fa a Roma dal Consorzio Tutela Vini Oltrepò Pavese, in intesa con Camera di Commercio Pavia, Regione Lombardia e Unioncamere Lombardia.

L’Oltrepò del vino che non si ferma mai
Il Consorzio Tutela Vini Oltrepò Pavese, fra i più antichi Consorzi di Tutela e con una terra di Doc e Docg (sette Doc e una Docg) interprete di un territorio che vanta 13mila ettari di vigne e il 65% del vino lombardo, non ha perso un solo evento di questo caldo autunno. E fra una città e l’altra ha inforcato la quarta per essere presente anche, il 22 novembre a Roma, la Capitale, in un contesto, progettato con Camera di Commercio Pavia, Regione Lombardia e Unioncamere Lombardia, per promuovere le eccellenze del Food & Wine tipico.
30 aziende si sono prestate ad assaggi per un pubblico di settore e competente che ha potuto constatare, anzi degustare, una qualità crescente di prodotti che hanno una marcia in più: sono identitari, innanzitutto. Sorprendono, perché non sono noti (il bicchiere mezzo pieno). Hanno spesso una spinta (nell’interpretazione di prodotti da vitigni internazionali che lì sono così storici da potersi considerare autoctoni) che punta verso l’eleganza (che Pinot Nero in tutte le sfumature! Che Riesling!) e la longevità. Non sono quasi mai banali, anche quelli più semplici: come certe Bonarde “pop”, motivo gustativo che si ricorda, come un frame che resta nella memoria del palato.
Una terra del vino rimasta per certi versi fortunatamente molto chiusa in sé stessa e quindi ancora decisamente poco nota. Un nuovo mondo del vino di Lombardia, che non parla solo Franciacortino, Valtellinese o Gardesano: parla molto precisamente la lingua del vino Oltre il Po, che ha una storia, un presente e un futuro al di là del Grande Fiume, dove la pianura padana si collega agli Appennini e all’incrocio di quattro regioni, in un triangolo di territorio a una sola ora da Milano che affascinò Luigi Veronelli e ispirò Gianni Brera, pavese Doc, tanto da identificarlo come un grappolo d’uva disegnato sulla carta geografica lombarda.

Cartoline di un territorio ancora troppo poco noto: parla Carlo Veronese (Consorzio Tutela Vini Oltrepò Pavese)
Milano, Verona, Merano, Torino, Siena – Montalcino, Livorno, Firenze e Roma: tutti i grandi centri da Nord a Sud si propongono come “capitali del vino”, tipico, italiano, di qualità e lo raccontano.
Senza tregua da mesi si degusta si viaggia si scrive si pensa al vino come ad una eccellenza che è biglietto da visita e icona del “Viver Bene” in Italia. Forse un po’ trascurato in casa (nemo profeta in patria), perché gli affari sono sempre stati fatti all’estero, finalmente il vino italiano di qualità sta riconquistando il suo mercato made in Italy.
È un effetto della pandemia? Oppure c’è più consapevolezza rispetto alle nostre eccellenze? L’Italia è dunque un nuovo mercato? Lo abbiamo chiesto ad alcuni protagonisti dell’evento Food & Wine di Roma, e sono emerse considerazioni molto interessanti.
Il Consorzio Tutela Vini Oltrepò Pavese tutela sette Doc e una Docg, promuove un territorio che vale 13mila ettari di vigne, conta circa 160 soci e produce (solo Consorzio) 75 milioni di bottiglie (di spumante sono 500mila, cifra che non fotografa la realtà del territorio e il suo valore, perché non tutti rivendicano la Doc).
La percentuale di export è molto bassa: rappresenta solo il 15%.

“La prima cosa che possiamo dire”, incalza il direttore del Consorzio, Carlo Veronese, esperto uomo del vino, bianchista ma tuttologo winelover della poliedrica terra d’Oltrepò, dopo essere stato per anni immerso profondamente nel suo Lugana, “è che bisogna oggi pensare ad un mondo del vino costretto dalla Pandemia a fermarsi nelle sue fasi principali, non di vinificazione, ma di promozione”.
“Ancora oggi molte mete europee e anche gli Stati Uniti e Oltreoceano non hanno aperto e questo ha costretto tutti a rivedere i luoghi di incontro possibili e avvicinabili per svolgere la matassa della proposta e della comunicazione e colmare un vuoto occupato solo in parte dal digitale”.
“Tutto ciò ha fatto sì che i primi appuntamenti raggiungibili, Milano, Verona, Merano e via dicendo sono stati speciali e interessanti per molti motivi. E sì, possiamo anche dire che c’è un atteggiamento di riscoperta in Italia per il vino italiano d’eccellenza. Tenendo conto che, storicamente, le aziende italiane che hanno costruito successi e gloria all’estero con i propri vini, hanno conquistato delle nazioni perché era più facile per loro rispetto a territori ai quali bastava vendere il vino in loco o portarlo e venderlo nei dintorni”.
“È sempre molto più logico e pratico di tante teorie. Quando le due situazioni si ribaltano o si mischiano, il gioco del mondo del vino diventa davvero interessante e il confronto rischia sempre di fare emergere piccole qualità che hanno storie speciali. Come, mi auguro, e mi sto battendo per questo, accade oggi in Oltrepò Pavese”.
Direzione Italia o estero? La testimonianza di Stefano Calatroni
Il valore del made in Italy del vino si costruisce prima in Italia e poi all’estero. O anche viceversa. Fatto sta che è un valore non solo romantico ma economico: il primo semestre 2021 dell’export italiano di vino ha segnato 3,3 miliardi di euro (+16% vs 2020), un valore che proietta le aspettative per questo primo anno “post-pandemico” oltre la soglia dei 7 miliardi: sarebbe un record assoluto nella storia dell’industria vinicola italiana.
L’incremento volume è del 6%, con la quantità in uscita che supera 10 milioni di ettolitri in sei mesi, come attesta l’Unione Italia Vini in una recente indagine condotta dall’Osservatorio del vino.
L’entusiasmo e la crescita dell’Italia del vino hanno rivitalizzato scenari rimasti in questi ultimi anni nell’ombra di più blasonati territori. Anche complice un incremento vero dell’enoturismo e del turismo esperenziale, dove vincono le mete enoiche ad un’ora dai grandi centri cittadini.
In questo scenario si stanno muovendo produttori giovani con famiglie del vino alle spalle, pronti a ribaltare mentalità e visioni, appassionati quanto basta e forse la Pandemia ha dato una motivazione in più.
“Non avrei dubbi nell’affermare che ci sia stato un effetto positivo – pandemico – nella percezione del vino di qualità italiano, anche nel reale allargamento degli appassionati di questo mondo”, dice Stefano Calatroni, produttore dell’Oltrepò Pavese, molto apprezzato per i suoi prodotti che sono eccellenze identitarie di una terra del vino molto poliedrica e in una nuova fase di lancio. Dalle bollicine, Metodo Classico Docg, al suo premiatissimo Riesling renano, alla piacevolezza schietta e perfetta della sua Bonarda Doc, Calatroni, come molti produttori che fanno della qualità la bandiera delle denominazioni dell’Oltrepò, non si è mai fermato in questi mesi di promozione profonda.
Parliamo del rilancio del made in Italy di qualità ed il produttore di Santa Maria della Versa è il primo a crederci. Cosa è accaduto con il Covid? “È accaduto che tutti noi italiani che abbiamo subìto un tempo libero che prima non avevamo e che ci ha permesso di sviluppare passioni come quella del vino alle quali non potevamo dedicare attenzione come si deve. C’è chi ha iniziato a studiare, a degustare, a capire il vino italiano e poi è andato avanti”.
“Del resto il vino ci lega molto al nostro territorio e anche al nostro passato”, continua Calatroni, “quindi di sicuro c’è stata una riscoperta o quanto meno un allargamento della cerchia di appassionati, che hanno voluto e potuto partire dalle nozioni e poi con la riapertura hanno pianificato assaggi, visite in cantina o attraverso gli eventi del vino”.
“Secondo me in Italia c’è stato un incremento da parte dei consumatori, sempre più attenti, ed è un incremento ovviamente qualitativo anche perché i produttori stessi di vini di qualità, aiutati anche dall’aver trovato il modo giusto di comunicare il proprio prodotto, hanno implementato la comunicazione digitale. Tutto questo ha aiutato a raggiungere quegli appassionati di vino che non erano stati intercettati prima, ben disposti ad approfondire la conoscenza e l’esperienza assecondando la propria curiosità”.
Sognando la California, coi piedi sulla terra italiana. Non è una battuta per l’Oltrepò Pavese: “Più che sognare o pensare a mercati esteri, adesso più che mai, il mio sogno è quello di vedere finalmente crescere la Denominazione Oltrepò Pavese e che sia riconosciuta maggiormente come una Denominazione di qualità: in questo senso il Consorzio di questa ultima gestione sta facendo ottime cose e contribuisce ad un effetto positivo. I ristoratori e le enoteche, infaatti, vogliono inserire vini dell’Oltrepò Pavese nelle proprie carte e proposte, e questo si riverbera come stimolo anche per altri produttori, i quali prima magari si dedicavano solo a vini un po’ più convenzionali e invece adesso si cercano di mettersi alla prova per fare anche vini a Denominazione un po’ più complessi”.
“Questa è la strada e dobbiamo agire per tutelare al meglio le nostre Denominazioni, anche prendendo in mano i disciplinari per cercare di spingere i produttori a fare sempre di più qualità, anche quelli che già ci provano, per continuare a migliorarsi”.
Una questione anche di identità geografica, precisa: “Io dico anche ce se l’Oltrepò Pavese avesse un suo posto preciso in una carta dei vini di un ristorante e non fosse considerato nel resto d’Italia, come avviene ad esempio per le bollicine, dove vengono considerate più virtuose quelle di Franciacorta, TrentoDoc ed in parte anche Alta Langa, si inizierebbe a costruire una area di definizione precisa e aiuterebbe a valorizzare uno standard qualitativo sempre più importante sul mercato italiano”.
“Quanto all’estero è tutto da sviluppare: siamo forse una delle aree italiane che esporta meno. Anche la nostra azienda esporta solo il 25% della produzione e paradossalmente facciamo molta fatica a proporre il nostro Metodo Classico fiore all’occhiello e dobbiamo usare prodotti più internazionali come il Pinot nero in rosso o il Riesling renano”. Ma questa è una sfida entusiasmante ed è appena iniziata.