Due mari, il Tirreno e lo Ionio, tre Doc, Faro, Mamertino e Malvasia delle Lipari. Grazie ad Assovini Sicilia si riaccendono i riflettori sui vini e le vigne che crescono rigogliose attorno a una delle più antiche città dell’Isola: quella Zancle, l’odierna Messina, colonia greco-siceliota fondata tra il 750 e il 715 a.C. da cumani e calcidesi. Produzioni che trovano oggi sempre più attenzione tra i professionisti, per vini che nascono dalla complicità di vitigni autoctoni dalla vibrante personalità, uniti a paesaggi e suoli di grande espressione. Un must per cultori ed appassionati, che potrebbe rappresentare la prima grande scoperta tra i migliori vini da bere nel 2023. Ecco la loro storia e quattro consigli per cominciare ad avventurarsi in questo colorato universo.
L’altro volto della Sicilia del vino: come nascono le tre Doc di Messina
Tra i vitigni, la Malvasia delle Lipari, il Nocera e il Corinto Nero. A questi si affiancano altri vitigni isolani come Catarratto, Insolia, Grillo, Nerello Mascalese, Nerello Cappuccio e Nero d’Avola. È un mosaico ricco di sfumature quello dei vini di Messina, che si candidano ad essere scoperti tra i migliori da bere nel 2023.
Produzioni che rientrano nelle tre Denominazioni che si estendono dalle vigne sui Monti Peloritani della Doc Faro alla costa tirrenica e ionica della Doc Mamertino, fino all’arcipelago delle Isole Eolie, terra della Doc Malvasia delle Lipari: la forza di un territorio che non ha eguali e che offre a turisti e gourmet un’eccellente tradizione gastronomica a fianco di cultura e bellezze naturali.
Doc Mamertino: tra i migliori vini da bere nel 2023 quelli che già piacevano a Giulio Cesare
I vini di Messina erano già noti nel XIV secolo, quando gli aragonesi governavano la Sicilia. Tuttavia, i riferimenti più noti rimandano fin all’antica Roma. Giulio Cesare pare apprezzasse particolarmente il vino Mamertino, che traeva il nome dalla popolazione di origini campane che si stabilì a Messina nel 289 a.C., citandolo persino nel De Bello Gallico.
Anche Plinio il Vecchio, nel XIV libro della sua Naturalis Historia, conferma che Cesare, all’epoca del suo terzo consolato, serviva durante i banchetti quattro tipologie diverse di vino: il Falerno e il Mamertino, di provenienza italica, il Lesbio e il Chio, di provenienza greca.
Strabone, geografo romano, e Marziale confermano la notorietà di questa produzione messinese, classificando il Mamertino fra i migliori vini dell’epoca.

Tra gli altri riferimenti letterari, in “Molto rumore per nulla”, commedia teatrale scritta da William Shakespeare nel 1599, la storia inizia con il ritorno a Messina del principe Pedro d’Aragona, seguito da cavalieri d’armi. Qui Leonato, governatore della città, offre al capitano di giustizia Corniola il vino di Messina.
L’area di produzione della Doc Mamertino, tra la costa Tirrenica e le montagne, abbraccia 34 comuni messinesi per circa 100 ettari totali. Un territorio “vista mare” con altezze che raggiungono anche i 500 metri s.l.m.
Riconosciuta ufficialmente nel 2004, per questa Doc possono essere utilizzate le varietà bianche Grillo, Ansonica (Insolia) e Catarratto Normale o Lucido, a cui possono aggiungersi, in percentuali minime, le altre varietà ammesse. Tra i vini rossi, a definire i profili sono Nero d’Avola e Nocera, poi in percentuale minore e per un massimo del 15% altre varietà a ammesse.
Tra le cantine di riferimento per questa Doc, si segnalano: Gaglio Vignaioli, Planeta, Feudo Solaria e Vasari.
Doc Malvasia delle Lipari: il vino amato dal papà dei Tre Moschettieri, Alexandre Dumas
Ma non è solo il Mamertino a proporsi in chiave storica, anche la Doc Malvasia delle Lipari pesca le sue origini in un lontano passato. Per Diodoro Siculo, storico greco-siceliota vissuto tra il 90 e il 27 a.C., l’introduzione del vitigno si deve ai colonizzatori greci, giunti nelle Eolie intorno al 588 a.C.
Nell’800 il commercio dei vini delle Eolie si diffusero in tutta Europa, grazie agli inglesi di stanza a Messina. Lo scrittore Alexandre Dumas, nel suo diario di viaggio sulle Eolie, annota:
“Venne portata una bottiglia di Malvasia delle Lipari; fu il vino più eccezionale che abbia mai assaggiato nella mia vita”.

Riconosciuta ufficialmente nel 1973, la Doc include le sette isole Eolie, Alicudi, Filicudi, Lipari, Panarea, Salina, Stromboli e Vulcano. L’arcipelago, che comprende ben due vulcani attivi, Stromboli e Vulcano, nel 2000 è stato proclamato patrimonio dell’Umanità dall’Unesco. Con la vite a viene coltivata soprattutto nell’isola di Salina ed anche in quelle di Lipari e Vulcano, mentre il clima è caratterizzato da una accentuata ventosità marina.
Le varietà di uva contemplate nel disciplinare di produzione includono solamente la Malvasia di Lipari sino al 95% con una piccola percentuale di Corinto Nero compresa tra il 5% e l’8%. A fronte di vini che prevedono le tipologie passito, liquoroso (con alcool aggiunto) o secco, in base alla percentuale di zuccheri naturali presenti nel vino.
Tra i principali produttori, si citino Cantine Colosi, Tenuta di Castellaro, Florio, Tasca d’Almerita e Barone di Villagrande.
La Doc Faro: la Denominazione “cittadina” che si candida a sorpresa tra i migliori vini da bere nel 2023
È quasi “cittadina” la dimensione della Doc Faro, la cui zona di produzione si sviluppa nel solo comune di Messina: da Giampilieri Marina a Capo Peloro per 32 km nella fascia jonica, da Capo Peloro a Ortoliuzzo per 24 km nella fascia tirrenica, per 900 ettari totali.
Riconosciuta ufficialmente nel 1976, il nome “Faro” pare derivi dall’antica popolazione greca dei Pharii, che colonizzarono Capo Peloro (Faro) e gran parte delle colline messinesi, svolgendo attività agricola e in particolare dedicandosi alla coltivazione delle vigne.

Quest’area della Sicilia vanta un’antichissima vocazione vitivinicola: il vino Faro, infatti, era prodotto già in età Micenea, attorno al XIV secolo a.C.
Numerose testimonianze sono riconducibili a un’importante attività vitivinicola già dall’epoca greca, per arrivare fino al XIX secolo in cui furono davvero notevoli il commercio e l’esportazione di vino Faro in molte regioni della Francia, allora utilizzato come vino da taglio dei vini di Borgogna e di Bordeaux, in concomitanza con gli attacchi di fillossera che interessarono il Nord Europa e il Paese transalpino in particolare.
Due nomi, oggi, da tenere a mente in zona: Le Casematte e Palari.