Chissà Madama, alias Margherita d’Asburgo, la Madama d’Austria, che calice avrebbe scelto al banchetto allestito a Roma in via dei Cappellari 64 (all’enoteca La Fiaschetta) per festeggiare il Premio Vinarius, istituito e assegnato dalle 110 enoteche associate e assegnato al territorio Pavese in questo 2023. Avrebbe preso la più bella carrozza per partire da quel Palazzo ereditato dal marito Alessandro de’ Medici, assegnato alla sua morte in uso frutto a “La Madama” e divenuto nel 1534 la sua residenza (oggi sede del Senato italiano), per insinuarsi nei vicoli accanto a piazza Navona. La Duchessa di Parma e Piacenza avrebbe varcato divertita la porta della vineria per brindare al premio “per la qualità del vino” che ad ogni edizione (siamo alla numero nove), biennale, elegge il territorio più interessante del nostro grande reame: quello dei vini italiani.

Il Premio Vinarius a Palazzo Madama
La Madama, figlia di Carlo V, alla quale è dedicato il Palazzo Casa del Senato, a Roma, si sarebbe divertita proprio un sacco. Prima sugli spalti, nella piccola e intensa atmosfera di Sala Dei Caduti di Nassirya, assistendo alla proclamazione del vincitore affidata al presidente di Vinarius, Andrea Terraneo, accanto al commissario straordinario della Camera di Commercio di Pavia, Giovanni Merlino, e al vicepresidente del Senato, Gian Marco Centinaio. Poi con gli ospiti e la delegazione intervenuta.
Avrebbe chiesto informazioni precise su vini e vitigni, rivolgendosi ai tre presidenti dell’Oltrepò Pavese vitivinicolo, gratificati dal riconoscimento all’Eccellenza e alla Qualità nonché alla Sostenibilità del Territorio pavese: Gilda Fugazza, per il Consorzio Tutela Vini Oltrepò Pavese, Davide Calvi, del Club del Buttafuoco Storico, e Fabiano Giorgi, per il Distretto del Vino di Qualità dell’ Oltrepò Pavese, per sapere tutto di un’area di grande valore enogastronomico, dove accanto a prodotti golosi e identitari si alimentano sei Doc e una Docg – l’Oltrepo Pavese – di una terra del vino da sempre.

Con Margherita d’Asburgo tra un calice di Bonarda e uno di Pinot Nero
Ma ci sarebbe stato un altro motivo perché la Madama si sarebbe divertita. Perché scegliendo il suo calice tipico avrebbe potuto fare sfoggio dei propri geni e origini: il Ducato di Parma e Piacenza. Avrebbe potuto mettere il naso nella frutta di una Bonarda Doc che ricorda un vino sorridente, tipico, che si fa soprattutto al confine con il piacentino.
Così come avrebbe sorseggiato un calice di Pinot Nero Doc, nobile e bene invecchiato ma non troppo, austero ma semplice come certi castelli malaspiniani o dei Dal Verme al confine con Liguria e Piemonte e ancora lì, in quel crocevia di regioni e ducati, di feudi antichi e di vigne bellissime su e giù per le valli, sulla antica via del sale, sbocconcellando una fetta da un centimetro di Salame di Varzi Dop, avrebbe detto: “questa flûte di bollicine di Metodo Classico mi ricorda lo Champagne!”.
Infine, senza aspettare il dolce, Madama Margherita si sarebbe persa davanti al camino nella lettura di un romanzo di Irène Némirovsky (1903, nativa della martoriata Kiev, Ucraina), degustando il volume capitolo dopo capitolo, senza aggiungere un boccone d’altro: un Buttafuoco Storico Bottiglia Consortile, pieno di tutto quel che serve per esaltare i sensi. Anche del racconto.

Il vino dell’Oltrepò entra al Senato per il Premio Vinarius
È un racconto, questo che coinvolge Margherita d’Asburgo, che prevalica la fantasia, saltando da un’epoca all’altra senza freni storici inibitori, come vuole la passione per il vino.
Un racconto che può venire bene solo in un territorio del vino che ha tutta questa storia nella terra e nei suoi ingredienti.
Persino nelle sue pagine di viticoltura, un territorio che oggi – finalmente e a buona ragione – viene premiato come si deve. Senza pregiudizi e senza ma e perché. Nemo profeta in patria, un giorno anche nel “Pavese” si accorgeranno di quanta luce.
“Se volessimo trovare un tratto comune a tutto il territorio del Pavese e dell’Oltrepò Pavese e anche dell’Alto Oltrepò verso gli Appennini Lombardi, credo sarebbe racchiuso nella parola passione”, il commento del presidente della Provincia di Pavia, Giovanni Palli. “E credo che il Premio assegnato da Vinarius e ritirato dalla Camera di Commercio di Pavia, in Senato, sia un premio anche alla passione di chi lavora costantemente per salvaguardare questo valore”.
“L’enogastronomia è un settore, anzi un’arte, che strizza l’occhio al turismo, risorsa fantastica che stiamo iniziando a scoprire anche qui, in questa parte ancora troppo sconosciuta di Lombardia e di bellezza, che richiede soprattutto passione e dedizione. Questo è proprio un premio al valore di un Territorio ricco di qualità”.

È il racconto di un premio, assegnato proprio lì, a Palazzo Madama, a Roma, in Senato, con l’entusiasmo del vicepresidente Gian Marco Centinaio, pavese Doc, che si lascia andare ad una dichiarazione d’amore fin esagerata ma spontanea:
“Sono un po’ partigiano, sono onesto, perché arrivo da Pavia e questo premio va a un territorio che è sempre stato considerato della quantità e non della qualità. Invece bisogna fare i complimenti ai presidenti che rappresentano questa realtà vitivinicola, per il grande lavoro che è stato fatto e siamo diventati sempre di più sinonimo della qualità”.
“Un grandissimo lavoro di impegno quotidiano interpretato da tantissimi giovani, che entrano nelle aziende di famiglia, anche investendo, dimostrando che si può fare. Un ulteriore punto di valore del nostro Paese. Poi arriverà anche l’accoglienza. Grazie alla delegazione pavese che è venuta oggi qui in Senato ed è una delle cose più belle di questi miei 10 anni da senatore”.
Sintesi di una bella storia. Il Premio Vinarius al territorio Pavese certifica il lavoro di una squadra che punta ogni giorno verso la valorizzazione dell’eccellenza e qualità delle Denominazioni d’Oltrepò Pavese. È stato assegnato lunedì 16 gennaio, a Roma, nel corso di una cerimonia in Senato con i presidenti di Consorzio, Distretto e Club del Buttafuoco Storico, in quel Palazzo Madama dove, nel 1478, i monaci dell’Abbazia imperiale di Farfa ospitavano un tempo i pellegrini francesi a Roma. E di sicuro trovavano pane e buon vino da tramandare al futuro. Come un premio, all’eccellenza del made in Italy da salvaguardare, persino quell’eccellenza di territori ancora poco raccontati. Una storia che c’è già. Ed è di successo.