Quella di Vigne Cappato non è una storia secolare. Almeno, non lo è ancora. Ma quello a cui il milanese trapiantato in Gallura Giovanni Cappato sta dando vita, passo dopo passo, è senza dubbio il nuovo volto del vino di Sardegna. È un’immagine chiara, quasi geometrica nei suoi tratti se la si osserva con attenzione, quella che la sua produzione restituisce: la prospettiva di dove si è, geograficamente, e di dove si vuole andare, enologicamente. Non a caso, prima di dedicarsi agli studi in Viticoltura ed Enologia, il produttore vanta un passato da architetto, che spiega anche l’originalità di un approccio che nel calice regala una struttura differente dal solito ai vini di una terra vocata, quella delle colline alle pendici del Monte Limbara, e che oggi si sta lentamente ritagliando il meritato spazio in scena. Questa è la storia del Vermentino di Gallura del terzo millennio.
Come nasce Vigne Cappato, il nuovo volto del vino di Sardegna
Classe 1973, Giovanni Cappato nasce e cresce a Monza, “al cuore di quella campagna monzese, che ho vissuto negli spazi di una delle ultime cascine lombarde”, spiega a WineCouture. Una grande corte agricola gestita dal nonno, il cui ricordo ha sempre accompagnato l’esperienza del fondatore di Vigne Cappato, rimanendo sottotraccia un legame sempre forte. Di formazione architetto, come il padre, Cappato apre uno studio di progettazione, dopo la laurea al Politecnico di Milano, che lo porta a vivere significative esperienze all’estero, tra Paesi Bassi e Stati Uniti. Poi, nel 2008, la battuta d’arresto che cambia la traiettoria della sua vita.
La crisi del settore edilizio ravviva la fiamma di un’autodeterminazione che lo chiama “altrove”, facendo riaffiorare il desiderio sopito dall’inerzia della quotidianità della “prima carriera”. È il richiamo della terra: Giovanni Cappato decide così di chiudere lo studio, trasferirsi sul lago di Como e iscriversi a Viticoltura ed Enologia presso la facoltà di Agraria.
Nasce in questo modo la scommessa del vino, “l’investimento maggiormente alla portata per dare forma a quel legame con la terra che desideravo riannodare”, sottolinea.
“Il vino è un prodotto che mi ha sempre affascinato”, aggiunge, “e l’ho stimato il cammino a maggior valore aggiunto rispetto alla competenza acquisita. In particolare, nei termini che mi avrebbe consentito, con un’attenta progettazione, di portare a compimento un progetto che fosse anche economicamente redditizio e solido. La Sardegna, poi, è una destinazione cui sono sempre stato legato e che ho avuto occasione nel corso della mia vita di esplorare in lungo e in largo”.

Da sempre affascinato dalla Sardegna e attratto dalle potenzialità enologiche della regione, si separa dalla casa al lago e parte per la Gallura, dove inizia a lavorare come professionista nel settore del vino. Sono spazi aperti quelli fortemente ricercati da Cappato, lui che è introspettivo nell’animo e al contempo eclettico in bottiglia. Poi, quel potenziale enologico tutto ancora da scoprire.
“Studiando ho capito i diversi terroir e le storie di Sardegna”, spiega. “Ma soprattutto compreso quello che era un tesoro su cui poter fondare una nuova avventura, che a fronte della possibilità di una grossa crescita enologica richiedesse inizialmente un investimento ancora contenuto per questo mondo”.
Il Vermentino di Gallura del terzo millennio
Terreni ad alto potenziale enologico, ma ancora accessibili in una zona ad alto valore paesaggistico. È la Gallura delle colline alle pendici del Monte Limbara. Lo sbarco avviene nel 2015, dopo aver maturato un po’ di pratica. E oggi il progetto ha iniziato ad assumere la sua forma, in vigna e cantina.
“Una follia l’acquisizione della terra per la prima vigna, per cui ho venduto tutto quello che avevo lasciato dietro di me”, sottolinea il produttore. “Un pascolo, a Berchidda, di sette ettari e mezzo”.
Un terreno che si è progressivamente trasformato in vigneto, fino agli attuali tre ettari e mezzo di filari che si snodano attorno a blocchi di granito su cui crescono ulivi selvatici lì da sempre e che sono stati preservati.
“Una scelta concreta per difendere la biodiversità, che è il valore di questa terra”, spiega Giovanni Cappato.

Siamo in una delle zone più vocate della Docg Vermentino di Gallura, ad un’altitudine che va dai 320 ai 360 metri s.l.m. Le viti, le ultime coltivabili prima del massiccio e a pochissima distanza dal mare, affondano le radici in suoli di origine granitica, terreni franco-sabbiosi e molto drenanti.
La posizione è strategica per comprendere questo racconto e i vini. Siamo infatti più in alto rispetto alla gran parte della produzione Docg locale e, grazie alle maggiori escursioni termiche tra giorno e notte rispetto a quote più basse, questo elemento conferisce particolare freschezza ed eleganza al Vermentino qui coltivato.
“Il mio obiettivo è portare questo territorio su un palcoscenico un po’ diverso rispetto al passato e a chi, in quest’area, ha costruito storie di successo”, evidenzia Cappato. “Da un punto di vista enologico, lavoriamo molto sull’acidità, che nel Vermentino rappresenta uno dei fattori più delicati, per via della sua peculiare natura e di quell’incapacità genetica a regolare la traspirazione che lo porta a maturazione quando ormai si è perso il fattore acidità”.
Si va così alla ricerca di una struttura che sposi la freschezza, portando il Vermentino fuori dalla categoria di vino delle vacanze estive, per innalzarlo e condurlo su nuovi prosceni.
“Qui in Gallura ci sono produzioni di eccellenza e fama internazionale che apprezzo sinceramente e che seguono scrupolosamente i dettami dell’antica tradizione vinicola locale, restituendo vini molto intensi e morbidi. Io, però, ho un’altra ambizione. Voglio creare una riconoscibilità di stile nel mio Vermentino di Gallura, che tenda alla valorizzazione dei particolari descrittori dell’areale mantenendo un’espressione fedele del territorio da cui proviene ma, allo stesso tempo, esaltando la potenziale freschezza del varietale e, grazie all’elevata gradazione alcolica e alla buona struttura, prometta anche interessanti evoluzioni con l’invecchiamento”.
Che cos’è il vino per Giovanni Cappato
Dai cinque vigneti di proprietà l’azienda ha oggi una produzione di circa 13mila bottiglie, con rese relativamente basse rispetto a quanto consentito da disciplinare, per un Vermentino di Gallura Docg che segue un approccio scrupolosamente artigianale, quasi sartoriale.
“Il vino è un modo di esprimere anche quella che è stata la mia formazione di stampo umanistico”, spiega Cappato. “Per me il vino è una componente narrativa e sociale. E il mio progetto è di proporre un Vermentino che parli di queste terre, ma nella visione di un viaggiatore giunto da altri luoghi”.
Contaminazione, questa è la parola d’ordine. “Credo molto nella contaminazione e penso che riuscire a mescolare a quella isolana una cultura continentale, ma profondamente radicata nella terra di un contesto diverso come quello lombardo, rappresenti l’angolazione perfetta per dare vita a un racconto originale del vino qui in Sardegna”.
Per Giovanni Cappato, per quanto sia fondamentale assecondare il flusso della natura, la vigna è frutto dell’intervento e dello studio dell’uomo e come tale va trattata e fatta crescere.
“E mentre lo faccio, imparo nuove cose, grazie anche alle persone che lavorano con me sotto il punto di vista tecnico e che mi garantiscono una conoscenza supplementare e pratica a supporto della mia visione”, spiega il produttore. “Siano Damiano Pala in vigna o Riccardo Restani in cantina, ma anche CBA Milano per l’identità aziendale o Valentina Fraccascia e Ilaria Invernici per condividere fuori dai confini della Sardegna la mia storia. È nel confronto continuo che prende forma ciascuna tessera del mosaico di Vigne Cappato cui stiamo dando forma”.

La sfida che si tramuta in desiderio di proporre un Vermentino diverso, di dare voce a questo “dialetto” della Gallura secondo le sue peculiarità naturali ma anche e soprattutto alla luce delle evidenze scientifiche più aggiornate.
Ecco perché il suo Vermentino sa di passato ma anche di futuro e, pur celebrando la storia di una delle Docg più antiche d’Italia, è pensato per sedurre il consumatore internazionale con il suo sorprendente carisma e il suo appeal moderno.
Cappato insegue l’obiettivo di coniugare il fascino e il passato di questa regione con il pensiero cosmopolita del terzo millennio. Una volontà che si riflette pienamente sia nel logo sia nelle etichette della cantina, in cui la componente simbolica prevale su quella espressiva per creare un’immagine fresca e briosa, seppur non dissacrante rispetto a tutto quello che ha preceduto, in grado di rappresentare la Sardegna “meticcia” di chi è giunto in questa terra in punta di piedi, pronto a mettersi alla prova e mai dimenticando quel che sta all’origine di ogni storia. Come dimostra anche il suo palato.
“Nel calice, a me piace bere le produzioni del Reno, a iniziare dai Riesling, tra i vini bianchi”, ci svela. “Per quanto riguarda l’Italia, il riferimento restano i rossi del Piemonte, che è un po’ il contrario di quel che faccio io qui in Sardegna, ma che amo perché mi riportano con Barolo e Barbaresco alle origini della storia del grande vino italiano”.
Un cammino nel cui solco l’architetto del vino di Sardegna sta muovendo i primi passi con Ghjlà, il Vermentino il cui nome ricorda il gelicidio del 2017 che ha segnato la prima, sudata, attesa, sperata vendemmia, che presto sarà raggiunto da Nibe, rifermentato in bottiglia non filtrato che attende scalpitante di fare il suo esordio. Un’altra testimonianza che quello di Vigne Cappato non è il solito vino.