Vino rosso: il calo strutturale è strutturale? Secondo l’analisi dell’Osservatorio Uiv-Vinitaly non è proprio così. Anzi, si assiste a un’accelerazione verso il tanto auspicato posizionamento in fascia alta delle denominazioni italiane rossiste più virtuose.
Export in crescita del 200% per il segmento top
In un mercato export trainato dagli spumanti (+6% i volumi nel 2022), in cui i bianchi fermi (+1,3%) e i rosati hanno tenuto, chi sembra soffrire di più è il simbolo enologico per antonomasia: il vino rosso.
Ma se è vero che In Italia la tipologia ha fatto peggio di tutte (-4,3% le quantità esportate), con cali evidenti in particolare nei principali Paesi della domanda, a cominciare dai top tre (Germania a -5%, Usa -6% e UK -8%), la scomposizione dei dati di vendita per segmento di prezzo riserva sorprese rilevanti.
L’analisi qualitativa sulle esportazioni dei rossi italiani che emerge vede infatti le categorie premium (da 6 a 9 euro/litro in cantina) e superpremium (oltre i 9 euro) conquistare quote di mercato molto importanti negli ultimi 12 anni.
Per esempio, stante il calo generale dei volumi di rosso esportati, nel 2010 i prodotti sotto i 6 euro rappresentavano a valore i due terzi del mercato. Ebbene: oggi, l’inversione di tendenza, con gli over 6 euro al 60% delle vendite. In poco più di 10 anni la crescita del segmento di fascia alta – che vale ora 1,9 miliardi di euro di export – è stata del 200%.

Vino rosso: le dinamiche nella ristorazione e sui vari mercati
A favorire questo trend di valorizzazione delle produzioni rosse, protagoniste in particolare nella ristorazione mondiale a prezzi spesso decuplicati, alcuni tra i principali mercati.
A cominciare dagli Usa, avamposto di una tendenza premium (a 480 milioni di euro) che incide per il 72% sul totale vini rossi italiani acquistati (+222% dal 2010). Notevole anche la crescita di prodotti destinati in particolare alla ristorazione in Canada (72% e +141%), Svizzera (76% e +143%), Francia (70%) e Corea del Sud (79%).
Quote robuste di prodotti basic persistono invece in Uk, Paesi Bassi, Belgio e Russia. Dai dati – rileva l’Osservatorio Uiv-Vinitaly – emerge chiaramente una divaricazione dei mercati: quelli disponibili ad aprire una nuova fase, trainata dal valore territoriale o di brand, e quelli invece ancorati a una visione statica del vino made in Italy, fatto più di quantità che non di valore intrinseco.
La sfida sarà far crescere quelli che oggi si posizionano a metà strada, tra i primi la Germania, che ancora vede il 50% dei volumi nella fascia 3-5,99 euro, ma anche altre piazze importanti come Danimarca, Norvegia, Austria e in generale i Paesi dell’Est europeo, oggi in forte sviluppo, come Polonia e Repubblica Ceca.