Classe 1982, Antonio Indovino, nasce a Vico Equense, in provincia di Napoli. La passione per il vino inizia per lui proprio nella sua terra natia, dove si laurea all’Università degli Studi Federico II di Napoli, per poi proseguire con Master approfonditi e seminari relativi all’universo enogastronomico. Il suo ricco percorso formativo è costellato di diversi titoli, tra cui quello di Master in Tecniche di Servizio del Vino, Sommelier professionista, Degustatore Ufficiale e Maestro Assaggiatore Onas, oltre a seminari di specializzazione sull’Abbinamento Cibo Vino e sui Difetti dei Vini. Tra i suoi traguardi professionali figura anche il secondo posto nel Concorso Miglior Sommelier Ais Campania nel 2018. Dopo un’esperienza di otto anni come Head Sommelier a Marina di Stabia, torna nella sua Vico Equense per entrare a far parte della squadra di Laqua Countryside, nel ristorante una Stella Michelin dove la cucina porta la firma dello Chef Antonino Cannavacciuolo. Ad Antonio Indovino, uomo dietro la carta vini, abbiamo domandato una visione d’insieme su quello che è il settore, mondo sempre in movimento come dimostra anche il tema del vino dealcolato, visto dalla sua prospettiva.
A Laqua Countryside, quali sono gli stili di beva e che cosa caratterizza la carta vini firmata da Antonio Indovino?
Nella carta dei vini di Laqua Countryside non ci sono tipologie, territori o stili precisi da seguire o rincorrere. Ho la fortuna di avere alle spalle una cucina che mi consente di spaziare con proposte enologiche italiane ed estere, toccando anche zone poco conosciute dagli appassionati del vino meno navigati.
Tutto è in funzione ovviamente della stagionalità del nostro menu, che al tempo stesso segue anche quella del nostro bellissimo orto qui a Ticciano.
Ciò che realmente caratterizza la scelta alla base dei vini che propongo in carta, lo posso riassumere in tre parole chiave: correttezza, tipicità ed espressività.
Un vino deve essere prima di tutto corretto, cioè privo di deviazioni organolettiche. Oggi tutti parlano di biologico, biodinamico e di naturale, spesso abusando di questi termini e andando a “nascondere”, dietro lo slogan della naturalezza, vini non sempre precisi e con evidenti difetti. Un vino corretto è indubbiamente tipico, perché in caso diverso sarebbe uguale ad un analogo prodotto proveniente da qualsiasi altra parte del mondo e quindi non riconducibile alla sua tipologia. Mi si perdoni il gioco di parole, ma a questo punto è chiaro che un vino corretto e tipico sia anche espressivo ed in grado di comunicare il savoir faire del produttore.
Aggiornamento, ricerca e scoperta: in che modo viene costruita la sua carta vini?
La mia carta dei vini non può prescindere da questi tre termini perché sono dei veri e propri dogmi. Bisogna aggiornarsi continuamente, partendo dal presupposto che non si potrà mai essere onniscienti e che un solo assaggio di un determinato vino e di un’annata specifica, non costituisce mai una fotografia reale di quell’etichetta: dopo assaggi attenti e comparativi tra diverse annate si ha una visione più chiara.
La ricerca, poi, deve essere costante, soprattutto quando si hanno clienti affezionati come nel nostro caso al Laqua Countryside. Questo permette di sorprenderli sempre con qualcosa di diverso dal solito e regalare loro sempre nuove esperienze d’assaggio.
Bisogna però fare attenzione che non sia una ricerca ossessiva perché si corre il rischio di valutare un vino troppo frettolosamente, lasciandosi influenzare oltremodo dall’effetto novità per poi ricredersi successivamente.

La scoperta, invece, è l’ingrediente che fa la differenza, e per scovare veramente una nuova azienda bisogna vivere il proprio territorio nel senso stretto del termine, cosa che purtroppo fanno in pochi. Ho la fortuna di conoscere personalmente tantissimi produttori e posso ritenermi fortunato di aver provato diversi vini della mia regione prima ancora che avessero un’etichetta e venissero commercializzati. Ne ho anche parlato su riviste specializzate e sul web, oltre che nel mio blog personale, ma soprattutto posso vantarmi di aver scommesso su alcune etichette che poi hanno ottenuto importanti riconoscimenti anche a livello internazionale.
Da esperto e professionista del settore, Antonio Indovino quali crede che saranno le nuove tendenze, tipologie e territori nel mondo del vino?
Più che un esperto mi considero un professionista del settore, ma soprattutto sono un appassionato e curioso assaggiatore alla ricerca di qualcosa che sappia emozionarmi al primo assaggio e che sappia confermare le aspettative anche negli assaggi successivi.
La mia risposta è che il nuovo trend è – e sarà sempre più – l’inclusività, anziché l’esclusività, indipendentemente dalle tipologie.
Oggi si beve con molta più consapevolezza e tantissimi giovani si avvicinano al mondo del vino con un bagaglio di conoscenze che gli consente di valutare anche il giusto rapporto tra qualità e prezzo di un prodotto: prendendo le distanze dall’esclusività non giustificata.
Tantissimi invece si affacciano in questo mondo perché attratti dalla forte attrattiva che sta vivendo il settore enogastronomico e le tipologie di vini che cattureranno l’attenzione dei giovani saranno quelle capaci di portare un messaggio schietto fuori e dentro il calice.
Per quanto riguarda i territori, invece, sarebbero tanti gli esempi di cui parlare, ma ne cito due accomunati dalla stessa dinamica legata al global warming, che è sotto gli occhi di tutti. Il primo esempio è campano perché adoro il Fiano, anzi ne sono perdutamente innamorato, e quindi cito l’Irpinia.
Mentre sono qui a parlarvene davanti ai miei occhi passano le immagini di quei chilometri e chilometri di montagne dove abitualmente passo in auto, e dove adesso non ci sono vigne: penso che la consapevolezza attuale dei viticoltori della mia regione saprà coniugare le potenzialità di un grande territorio e di una delle più importanti varietà a bacca bianca d’Italia.

Come secondo esempio – per le stesse motivazioni legate al clima – cito due regioni tedesche: il Palatinato ed il Baden. In questo territorio, nel sud della Germania, stanno producendo dei rossi molto interessanti da Pinot Nero e la consapevolezza che ne è scaturita sarà l’arma vincente anche del Palatinato, che geograficamente è in una collocazione più nord-occidentale rispetto ad esso.
Ho avuto il piacere di assaggiare diversi rossi di entrambe le regioni, oltre che conoscere di persona il presidente della VDP (Steffen Christmann, che produce vini proprio Palatinato, ndr) e i programmi da qui ai prossimi vent’anni su cui stanno lavorando i produttori tedeschi: c’è da scommetterci senza ombra di dubbio.
Nel mondo del vino contemporaneo quanto è importante il ruolo del sommelier nella comunicazione di settore?
Nel mondo del vino contemporaneo il ruolo del sommelier nella comunicazione di settore è di fondamentale importanza. I mezzi informatici consentono a tutti di scrivere e di reperire informazioni di ogni genere, ma la cosa più difficile è saperle filtrare. Proprio per tal motivo chi è a servizio del vino come me deve esser capace di raccontare le emozioni che si possono provare con il calice alla mano, le storie e gli aneddoti, il perché dietro determinate scelte prima che quel vino arrivi sulle tavole.
Mi rendo conto che sia un compito estremamente difficile conoscere tutti gli uomini e le donne dietro le etichette presenti sulle nostre carte dei vini, ma senza empatia con il nostro cliente rischiamo di perdere credibilità nei confronti di persone meno esperte.
Dunque, penso non sia sufficiente recitare la scheda tecnica di una bottiglia: e non so come si possa fare per ricordarle tutte a memoria.
Quando il cliente è Antonio Indovino, cosa ama trovare in una carta e nel servizio?
Quando io sono il cliente mi aspetto di trovare una carta ragionata, con dei vini funzionali a quella che è la proposta gastronomica. È questa la vera chiave del successo, perché permette alla clientela di avere la possibilità di un giusto accompagnamento in tavola.
Mi aspetto inoltre che sia in evidenza il territorio, che non manchino le etichette per mettere a proprio agio chi cerca la sua comfort zone nel grande vino, ma al tempo stesso che ci sia la possibilità di trovare quel piccolo produttore da farsi raccontare per il piacere di fare una nuova scoperta.
E se la cantina è piccola e non permette di avere una carta ampia? Non è un problema, anzi, deve essere ancora più divertente tornare in un locale in cui il Sommelier propone sempre qualcosa di diverso.
Inoltre, ho una visione specifica del servizio. Premetto che non amo quando il personale di sala si sente in obbligo di dover dimostrare qualcosa, perdendo quella naturalezza e disinvoltura che si ha nei tanti piccoli gesti che caratterizzano le nostre abitudini lavorative.
Mi aspetto persone capaci di adattare il proprio modo di lavorare al contesto, sensibili al punto da capire le esigenze che ho in quel momento, e che sappiano dare il giusto valore e importanza a ciò che stanno proponendo, senza ostentare conoscenze e competenze a tutti i costi.
Mi aspetto ciò che pretendo da me stesso: umiltà e capacità di trovare il giusto punto d’incontro con chi è al tavolo, per farlo divertire senza varcare quella linea sottile oltre la quale si diventa troppo invasivi.
Vino dealcolato: tendenza temporanea o una nuova e concreta ramificazione nel mercato del settore?
Onestamente penso entrambe. C’è una costante crescita nella richiesta da parte dei consumatori di prodotti a basso contenuto di alcol, ma la questione è molto più complessa di quanto sembri. È indubbio che la dealcolizzazione totale o parziale vada a influire sulle caratteristiche organolettiche del vino, ma la cosa più importante è che il tutto venga poi correttamente regolamentato.
Da quanto ho letto sicuramente è vietata la diluizione del vino per abbassarne il tenore alcolico, mentre sono consentite delle pratiche di cantina come la distillazione, l’osmosi inversa con dei filtri a membrana o l’evaporazione parziale sottovuoto.
Da un punto di vista legislativo non mi risulta ancora che sia stato modificato qualche disciplinare di produzione ammettendo tali pratiche per i vini a marchio Dop od Igp, fatto sta che l’Ue ne permetterà la commercializzazione a partire dal 1° dicembre 2023.
Sicuramente il compito di chi come me lavora in questo settore sarà quello di valutare il prodotto con serenità e senza preconcetti, onde evitare di farsi trovare impreparati dinanzi alle prime richieste che ci arriveranno.