Dal 1° aprile, Manuel Reman, un passato di consulente in Boston Consulting Group e poi, dal 2005, una lunga carriera in seno a Moët Hennessy, dove ha occupato differenti incarichi fino a quello di direttore generale di Moët Hennessy Champagne Services dal 2019, ha preso il posto di Margareth “Maggie” Henriquez alla guida di Maison Krug. Un testimone pesante, quello che gli è stato passato. Ma il nuovo presidente di Krug ha ben chiara la direzione in cui intende procedere e cosa significhi lavorare per questa storica Maison, che il prossimo anno taglierà il traguardo dei suoi primi 180 anni. A distanza di due mesi dal suo ingresso in azienda, abbiamo avuto occasione d’incontrare Manuel Reman in occasione del World Living Soils Forum organizzato da Moët Hennessy, l’1 e il 2 giugno ad Arles. Ed è stato un faccia a faccia in cui col nuovo numero uno di Krug abbiamo parlato in assoluta libertà davvero di tutto: dalle fatiche dei primi giorni alle strategie di mercato, dalla centralità del mercato italiano allo scottante tema delle Vignes Semi Larges, fino ai vini che ama bere. Ecco l’intervista di WineCouture a Manuel Reman.
Non si può che iniziare da un primo bilancio: com’è stato il primo approccio con Maison Krug?
Sono stati mesi di grande eccitazione e di tante emozioni. Tutti noi, all’inizio di una nuova avventura, ci immaginiamo come possa essere il debutto, ma personalmente non me lo aspettavo di tale intensità. Per far capire: il primo giorno del mio mandato l’ho passato con Julie Cavil, Chef de Cave di Maison Krug, che ha presentato l’assemblage della 177ma Édition di Krug Grande Cuvée, creata attorno alla vendemmia 2021, che poi è stata posta a riposare in cantina. Due giorni dopo, partenza per la Scozia per l’incontro con i referenti di quasi 100 Krug Ambassade. Infine, al termine della prima settimana, evento in Maison con un centinaio di nostri storici conferitori. Dunque, in 7 giorni ho assistito alla creazione del nostro Champagne, incontrato chi lo racconta nel mondo e conosciuto i partner che, da anche più di un secolo, ci forniscono le uve per dare vita ai nostri vini: in sintesi, l’Alfa e l’Omega.
In fondo, non è proprio questo il bello di rivestire un incarico come quello di presidente di Maison Krug?
È così. Il bello di questo lavoro è proprio la varietà d’incontri che ti concede: la possibilità di partecipare a occasioni di confronto su una tematica fondamentale come nel caso del World Living Soils Forum e, il momento successivo, sedere a tavola per una cena con degli appassionati storici di Krug. E poi incontrare i vigneron o prendersi il tempo di parlare con i dipendenti che sono parte del team della Maison: con ciascuno di loro ho voluto fare veri e propri faccia a faccia di 45 minuti in queste prime settimane per conoscerli e capire meglio la realtà che sono stato chiamato a guidare.

Qual è l’eredità che le ha lasciato Margareth Henriquez?
Maggie Henriquez ha guidato un’équipe che ha saputo magnificamente interpretare le sue indicazioni e dare forma a quella che oggi è l’identità riconosciuta di Krug, che si può riassumere nella figura di una piramide alla cui base c’è ovviamente uno straordinario Champagne. Poi, sul secondo grandino troviamo la storia del suo fondatore, Joseph Krug, con la scelta di lasciarsi tutto alle spalle e la particolare visione di voler offrire questa interpretazione di alto profilo, molto generosa tutti gli anni, non solo in quelli migliori: se oggi tanti appassionati scelgono Krug è proprio per questa impostazione che ha indicato la rotta e che non è mai stata disattesa, quasi fosse un’eredità che nel tempo si è trasformata per le generazioni successive in un vero e proprio dovere. Quel che Maggie Henriquez e la sua équipe hanno saputo aggiungere è un terzo step: far percepire Krug come ben più che un vino o uno Champagne, trasformandolo in un prodotto capace di generare emozioni in chi lo consuma, grazie all’interazione con la musica o con le creazioni degli chef più rinomati. E questo trittico rende Krug una Maison davvero completa: come già avevo percepito e come mi hanno confermato tutti coloro che ho incontrato in questi primi mesi di lavoro.
Ma c’è qualcosa che pensa di dover cambiare?
Quando si prendono le redini di un’azienda, se si vede qualcosa che non funziona è bene immediatamente intervenire per cambiare. Non è però questo il caso di Krug: non vedo nulla che mi preoccupi. Al contrario: al momento abbiamo una domanda che supera la stessa produzione. Dalla Scandinavia all’Italia, la richiesta è una volta e mezza quella attuale. E la Corea, il Giappone e gli Stati Uniti sono tutti mercati in forte ripresa. Tutti sintomi che la Maison performa bene e che gli Champagne Krug sono grandemente apprezzati. Non ho, quindi, intenzione di fare cambiamenti in termini di strategia di brand, ma piuttosto batteremo il ferro proprio in relazione a questi nostri punti di forza per portare il marchio ancora più lontano.

In che modo?
Questo significa, ad esempio, essere ancora più protagonisti in rapporto al tema della sostenibilità. Krug, infatti, se parliamo di preservazione del suolo non può che porsi in prima fila: è nel nostro stesso DNA, come dimostra quella che fu la scelta di Joseph Krug di andare a ricercare le migliori parcelle di ciascun terroir per dare forma al suo Champagne. Per questo, la nostra Maison deve sostenere in ogni modo possibile lo sforzo per comprendere la correlazione tra la vitalità del suolo e quella che ne sarà l’espressione che si ritroverà in seguito nel vino. A riguardo, ho messo in programma che si acceleri sul progetto di studio dei nostri suoli, per coglierne ancora più le differenti sfumature. Pensiamo solo al caso del Clos du Mesnil: 1,84 ettari con 5 parcelle differenti che tutti gli anni offrono risultati diversi. Ma come mai? Dobbiamo comprenderlo fino in fondo. È l’esposizione soltanto? È l’età delle vigne? È la composizione dei suoli? Sullo sviluppo di queste conoscenze accelereremo e anche su un concept più ecocompatibile dei nostri packaging. Ma implementeremo anche le nostre piattaforme di comunicazione legate alla musica e agli ingredienti, che rappresentano linguaggi davvero universali che consentono di connettersi col mondo.
Come descriverebbe oggi lo stile di uno Champagne molto particolare come Krug?
Il lavoro che sta portando avanti la Chef de Cave Julie Cavil è di ricercare in Krug un’espressione e una generosità percepibili, ma senza che presenti un’impronta ossidativa. E lo trovo magnifico: io, ad esempio, non amo i vini ossidativi e adoro Krug. Dunque, già questo è un primo test che quando parliamo di Krug non parliamo di uno Champagne ossidativo. È un vino in cui il mosto è stato esposto all’ossigeno per proteggerlo in quel che ne saranno i passaggi successivi. È un po’ il principio dell’abbronzatura: se si fa un veloce passaggio al sole prima di partire per il mare non vi scotterete. E per Krug è proprio la stessa dinamica.
Krug è oggi anche un’icona di stile e lusso: c’è l’idea d’introdurne anche una versione economicamente più “democratica”?
La visione fondante di uno Champagne particolarmente generoso avuta da Joseph Krug si lega a dei presupposti chiari, che prevedono logiche stringenti in termini di approvvigionamento delle uve, date e tipologie di vendemmia, tecniche di coltivazione, lavorazioni e così via. Tutto questo costa. Negli ultimi 5 anni, poi, gli incrementi in tema sono stati diversi e non credo si andrà verso un abbassamento dei costi di produzione in futuro. Di conseguenza, vedo l’opzione difficilmente percorribile, in quanto la nostra volontà è di proseguire nella perfezione: ma la perfezione ha un costo.


Affrontiamo un tema scottante oggi in Champagne: qual è il suo pensiero sulle Vignes Semi Larges?
La prima considerazione la faccio in qualità di rappresentante all’interno del Civc delle Maison legate a Moët Hennessy ed è di carattere generale: denominazioni, aziende o settori che nel tempo non hanno saputo evolvere oggi sono morti. Abbiamo un impegno da portare avanti in termini di sostenibilità e le Vignes Semi Larges portano numerosi vantaggi in tema, iniziando dalla riduzione del 30% dell’utilizzo di prodotti che immettiamo nel terreno alla possibilità d’utilizzare trattori agricoli che costano cari ma favoriscono una minore compattazione del suolo. A mio avviso, il punto focale sull’argomento è un altro…
Quale?
Arrivare a dimostrare che non sussistono differenze in termini di gusto del vino. Fatto salvo questo elemento, sono assolutamente favorevole alle Vignes Semi Larges e ritengo che la Champagne debba evolvere. Ma ovviamente senza imporre nulla a nessuno. Se le Vignes Semi Larges portano benefici in termini di minor fatica nella lavorazione e maggiore sostenibilità, ritengo sia giusto prendere questa direzione d’evoluzione. In veste di presidente di Krug, poi, riaffermo che è decisivo che non rappresenti un obbligo.
Ma una decisione di questo tipo non rischia di cambiare per sempre il volto della Champagne?
Da un punto di vista d’immagine ritengo che di rischi non se ne corra: in Italia ci sono magnifici paesaggi costellati di Vignes Semi Larges. Se 100 o più anni fa avessero pensato che quel che funzionava non andasse in qualche modo cambiato, oggi saremmo ancora qui a vendere Champagne dolci e non coltiveremmo Chardonnay nella regione. Noi siamo figli dei cambiamenti dei nostri antenati, che hanno scelto di evolvere e d’individuare nuove soluzioni. E oggi trovo pretenzioso affermare che abbiamo individuato la soluzione ideale e non ci si debba scostare. A ragionare secondo un’ottica che non ci sia più nulla da migliorare, tra qualche generazione non lasceremo a chi verrà dopo le fondamenta per una nuova evoluzione. Dunque, a mio avviso, occorre allargare gli orizzonti.
Fin dove ci si può “spingere” a suo avviso?
Al momento, abbiamo fatto tasting che confermano che su mosti e Champagne di 2 o 3 anni non si riscontrano mutamenti nel gusto. Su prodotti che ricercano maggiore precisione e identità territoriale o che puntano a un’evoluzione che si spinga anche oltre i 30 anni, su quello c’è la possibilità – ed è quel che penso io – che si registri un impatto. In questo caso occorre essere prudenti. Ma avanzo un’altra considerazione: il portainnesto, oggi, è un altro elemento che ha ben più impatto ancora rispetto le Vignes Semi Larges, ma rappresenta un soggetto che non viene affrontato. Se prendiamo due Chardonnay da differenti portainnesti avremo una diversità enorme in vigore, tipicità e gusto. Dunque, sul tema Vignes Semi Larges non si devono creare polemiche laddove non serve, ma piuttosto occorre che ciascuno sia lasciato libero di scegliere. Esattamente come nel caso dei nuovi vitigni resistenti, che permettono di non eseguire trattamenti vicino ai centri abitati. Io sono a favore della logica di sperimentare soluzioni a partire da piccoli appezzamenti e poi misurare i risultati.

Parliamo di mercato: che inizio d’anno è stato dopo il boom del 2021 che ha esaurito le scorte, non solo di Krug ma di tutto il mondo Champagne?
È stato un inizio 2022 estremamente complicato, proprio come la fine dello scorso anno. In Krug, avremmo la capacità di vendere ancora più bottiglie, perché in cantina lo stock copre i 7 anni dell’affinamento: dunque, sappiamo esattamente i quantitativi a nostra disposizione. Tuttavia, vendere di più oggi presuppone vedere mancare prodotto in futuro e non voglio assolutamente che questo accada. Neanche siamo tra quelli che decidono di diminuire i tempi d’affinamento per aver maggiore prodotto a disposizione per cavalcare l’onda delle vendite. Perciò, la nostra decisione oggi è di spendere le nostre energie nella scelta di quale Paese, canale e finanche cliente allocare le bottiglie.
Qual è il “segreto” per vedere crescere le proprie assegnazioni?
Nessun “segreto”, solo un criterio: a essere favoriti sono quanti meglio comprendono e interpretano la filosofia di Krug. Più che un problema, quello della carenza di bottiglie è una frustrazione. Ma è preferibile questo tipo di frustrazione al dovere rincorrere le vendite: perché è in quella circostanza che poi si commettono gli errori con promozioni che non costruiscono nulla in termini di posizionamento sul lungo periodo. In termini di sviluppo, una Maison come la nostra ritengo debba crescere attorno al 2% l’anno. Poi si giungerà a un livello in cui occorrerà arrestarsi, perché significherebbe andare oltre quelli che sono lo spirito e la filosofia stessi dell’azienda.
E l’Italia si può aspettare di vedere arrivare qualche bottiglia in più di Krug?
Ripeto una cosa che di recente ho avuto modo di dire a un giornalista americano, a riprova dell’assoluta sincerità del pensiero. L’Italia, in parallelo al Giappone, sono i “veri” mercati di Krug. Perché ci sono consumatori che comprendono realmente i nostri Champagne. E soprattutto hanno un gusto sofisticato che riconosce i prodotti di valore. L’Italia è il Paese che ha creato il lusso e che coglie, valorizzandolo, quel principio d’artigianalità su cui si fonda tutta la storia e la filosofia di Krug. Tanto che durante la pandemia, quando abbiamo dirottato sul mercato italiano scorte di prodotto da altri contesti con trend in ribasso, la ricezione è stata straordinaria: l’Italia è il Paese che ha avuto la crescita maggiore nell’ultimo periodo. Dunque, proseguiremo nel sostenere il mercato italiano, che tra l’altro regala quello che, a mio avviso, è il miglior abbinamento con il nostro Champagne: Krug e Parmigiano Reggiano.

Nel 2023, Maison Krug festeggia i primi 180 anni: avete già pensato a qualcosa di speciale per l’occasione?
L’anno prossimo ricorreranno i 180 anni dalla nascita di Krug, ma non siamo una Maison abituata ad autocelebrarsi. Siamo piuttosto gente che abbassa la testa e lavora, fa quel che deve, per poi aspettare di ricevere dagli altri i complimenti, se amano quel che è il risultato del nostro sforzo. Nel 2023, però, ci sarà un avvenimento che cade proprio in concomitanza con i 180 anni: inaugureremo il nuovo centro di vinificazione certificato Haute Qualité Environnementale ad Ambonnay, che ci permetterà di compiere un ulteriore passo in avanti in termini di qualità e tipicità dei nostri Champagne. Ma a beneficiarne al massimo sarà chi si troverà al mio posto nel 2035, quando io sarà già in pensione: solo allora, infatti, usciranno le prime bottiglie realizzate con i vin de réserve di questo nuovo corso. Ma in fondo, se penso a Krug, penso proprio a questo: riceviamo un’eredità dal passato e facciamo qualcosa per altri che verranno dopo di noi. Lavorare per Krug significa avere questa “generosità” di spirito.
Ma Manuel Reman, presidente di Maison Krug, quando non beve Champagne, cosa beve?
Devo ammettere, innanzitutto, che bevo tanto Champagne e che lo amo davvero molto. Poi, in questo momento, mi piace particolarmente bere vini dalla marcata mineralità. Alcuni esempi sono il Granit del Domaine de Vaccelli dalla Corsica, il Saint Joseph di Pierre Jean Villa dal Rodano o il Barbaresco di Roagna. Non amo i vini “body-building”, quelli in sostanza troppo costruiti. Cerco piuttosto autenticità ed eleganza. Amo molto, di conseguenza, anche la finezza della Borgogna.
Ha citato anche un italiano tra i suoi attuali “preferiti”…
Adoro i vini di Luca Roagna. E quando ho avuto l’occasione d’incontrarlo di persona mi ha svelato che lui ama bere Krug. Per me è stata una rivelazione: scoprire che un genio del vino, un appassionato dal palato straordinario e che ha a disposizione un’infinità di bottiglie, sceglie Krug, è stata un’enorme soddisfazione.
Un’ultima domanda: oggi, a suo avviso, la Francia del vino rimane ancora “irraggiungibile” dagli altri Paesi produttori?
La Francia è stata per lungo tempo al vertice del vino, ma non bisogna cullarsi sugli allori. Oggi, infatti, di buoni vini è pieno il mondo: dall’Italia alla Spagna, dal Portogallo alla Grecia, dall’Argentina a Cile e Uruguay. È un po’ lo stesso principio degli chef francesi, che sono stati i più bravi in cucina per lungo tempo. Oggi, però, il mondo è cambiato e ci sono eccellenti interpreti un po’ ovunque. Ma questa dinamica è un bene: in Champagne, ad esempio, ha portato a una riscoperta del terroir, ad andare oltre i soli tradizionali concetti di assemblage e di vino da aprire per le feste.
