Il “Vin da viajo”, quello che dai porti della Serenissima prendeva il largo per raggiungere le mille destinazioni in cui sarebbero poi approdate le navi veneziane. Il vino che racconta, fin dall’antichità, quel che è la storia della viticoltura in un territorio che dai piedi delle colline di Conegliano e del Montello, seguendo il corso del fiume Piave giunge fino in Laguna. Parliamo del Raboso, l’uva “arrabbiata”, e delle sue sfumature in rosso tra Piave Doc e Malanotte del Piave Docg.
La tradizione vinicola della Laguna di Venezia
L’occasione di scoprire un po’ di più di quello che per tradizione è sempre stato un baluardo tra i rossi del Veneto ci è offerta da wine tasting organizzato dal Consorzio Vini Venezia, realtà nata nel 2011 e che oggi tutela e promuove ben 5 Denominazioni: Doc Venezia, Doc Lison-Pramaggiore, Doc Piave e le Docg Lison e Malanotte del Piave.
Una viticoltura importante, che si estende su un’area che va dalla Pedemontana veneta alle isole della laguna veneziana, coprendo una superficie di circa 4.939 Km² e sviluppandosi a cavallo delle due province di Treviso e Venezia.
E proprio l’approfondimento dedicato al Raboso richiama alla volontà di non far seccare le radici di una tradizione che va in profondità fin all’antichità, quando Plinio il Vecchio parlava di un’uva nera come la pece che cresceva nell’area, l’antenata del protagonista del nostro focus.
Biodiversità nel vino veneto che si conserva, dunque. E che si lega alle peculiarità di un territorio eterogeneo nella sua composizione, esattamente come descrivono le 5 Denominazioni tutelate dal Consorzio Vini Venezia.

Il Piave, la Doc e la storia del Raboso
Raboso, sì, ma con l’aggiunta della fondamentale menzione Piave, perché a queste latitudini e longitudini è il vitigno padrone di casa, capace di presentarsi in una duplice veste: da una parte richiamo alla tradizione fedele alla voce del territorio, dall’altra veste moderna alla ricerca di nuove vie anche nei consumi.
Il Piave, non soltanto “fiume sacro alla Patria”, ma anche Doc riconosciuta ufficialmente nel 1971, a comprendere tutto quel territorio racchiuso nella vasta pianura che si estende dai confini nordorientali delle provincie di Treviso con il Friuli fino alla foce del Piave, a Cortellazzo (Venezia), e dalle colline di Conegliano e del Montello fino al primo entroterra della città lagunare, per un totale di più di 34 comuni interessati.
Definizione dei confini per cogliere anche l’anima di vini che sempre hanno rappresentato l’identità e la storia di queste terre. Un percorso di progressiva identificazione nel calice con l’azione di riporto attuata dal fiume: con la ghiaia e i ciottoli che lungo l’incedere verso la Laguna cedono il passo a una conformazione sabbiosa dei terreni.
Ed è in questo lento scorrere e mutare dei paesaggi che cresce quell’uva “arrabbiata” affatto facile da gestire tanto in vigna quanto in cantina: la prima a germogliare, l’ultima a essere raccolta. Un vitigno particolare, in cui convivono la capacità di esprimere grande acidità e una struttura in cui il tannino è fortemente avvertito: i due elementi che tratteggiano il fil rouge del Raboso Piave.
Quello stesso fattore che lo ha reso, ai tempi della Serenissima, il “vino da viaggio” capace di affrontare le lunghe traversate, conservandosi anche nelle condizioni più complicate e per periodi prolungati grazie alla speciale combinazione tra acidità e tannino.
Poi, dopo l’avvento di Campoformio e la fine della Repubblica di Venezia, il cambio di rotta: non più vino che prende il mare, ma il cui consumo si sviluppa verso l’entroterra, lungo la pianura, resistendo a ogni avversità. Fino allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, dopo la quale il Raboso Piave lentamente scompare, confinato alle sole campagne per “sgrassare” i piatti della tradizione veneta.
L’ultima parola su questo vitigno, tuttavia, non era ancora stata scritta. Alla fine del Novecento, infatti, si prende coscienza di quella che è la sua vocazione all’appassimento. E i produttori del Piave intraprendono anche questo cammino, regalando un tocco di morbidezza alle tipiche caratteristiche di “durezza” del Raboso. Si giunge per questa via alla rinascita e alla riscoperta, ulteriormente valorizzata grazie alla nascita nel 2011 della Docg dedicata al Malanotte del Piave: una produzione “ingentilita” con un percentuale che varia tra il 15% e 30% di vino in appassimento, che affina almeno 3 anni in botte e che ha fatto il suo esordio con la prima annata datata 2008.
Tre Raboso per capire un vitigno: gli assaggi
Un lieto fine, quel che vi abbiamo raccontato, che tratteggia anche del futuro di un prodotto che oggi si veste di un abito differente a seconda delle occasioni in cui è chiamato a essere protagonista a tavola, raccontando l’identità di un vitigno che realmente ha saputo sovrastare ogni avversità, preservando la tradizione e la biodiversità del vino veneto, ma al contempo evolvendo grazie a moderne chiavi di lettura.
Proprio come dimostra i seguenti tre assaggi che conducono, spaziando tra tradizione e modernità, in un viaggio dove a venire raccontati sono la tannicità didattica del Raboso Piave, la sua evoluzione che scaturisce con la nota surmatura e la veste contemporanea che conduce all’incontro con abbinamenti dalla consistenza più accentuata.