In un contesto periferico, distante dalle storiche mura che circondano la rinascimentale città di Firenze, c’è un locale che da sempre è sinonimo di tradizione, Toscana e buon vino: Trattoria da Burde. Qui, in oltre 120 anni di storia e ben quattro generazioni, la classicità gastronomica toscana e la sua profonda cultura vinicola sono protagoniste in tavola a tutti gli orari e in ogni stagione. Oggi ad esserne custode insieme al fratello e chef Paolo che cura il menu, c’è Andrea Gori, sommelier professionista e uno dei nomi più riconosciuti della critica enogastronomica italiana.
Andrea Gori è un professionista del vino attento, contemporaneo e multitasking. La sua più grande qualità, nel corso della sua carriera professionale, è stata certamente quella di riuscire a creare un modo diretto, semplice e concreto di parlare del vino, capacità che ha affinato curando il servizio del vino fra i tavoli della sua Trattoria da Burde e proponendolo poi attraverso le prime video degustazioni sul canale YouTube agli albori di internet, arrivando oggi ad essere un vero e proprio punto di riferimento nella comunicazione di settore. Con lui, abbiamo parlato del mondo del vino, di ieri e di oggi e di quello che sarà il suo futuro, fra trend, mode e quella tradizione, che come lui stesso afferma è un’innovazione ben riuscita.

Trattoria da Burde è una delle realtà più storiche nel panorama gastronomico di Firenze e nazionale: come resta sempre attuale un locale e in che modo in questo processo trova posto in menu il vino?
In maniera molto gattopardiana: cerchiamo di cambiare sempre tutto per dare l’impressione di non cambiare niente. In realtà dietro ogni piatto così come dietro ogni vino che mettiamo in carta o al bicchiere, c’è una continua ricerca di qualcosa di nuovo da affiancare a quello che oggi viene considerato classico.
La tradizione, dopo tutto, è un’innovazione ben riuscita: questo vale per un piatto come la Ribollita Toscana così come per il Peposo e anche, ad esempio, per il Brunello di Montalcino, un vino famoso e contemporaneo ma nato da una invenzione di Clemente Santi a fine 1800.
Seguendo questa idea di “cambiamento tradizionale” ho sempre cercato di abbracciare sempre più una selezione che fosse varia ma comunque centrata al 95% su denominazioni toscane e concentrandomi nel corso del tempo su quella che è la comunicazione del vino e di come questa si evolve facendola passare dalla carta vini, sia a livello di etichette presenti, sia nella sua organizzazione, variando il modo con cui vengono raggruppate le etichette in carta.
Per il Gallo Nero, ad esempio, mi ricordo che nel 2005 aveva più senso suddividerli per gusto in “moderno” o “tradizionale”, botte grande o botte piccola, con Merlot o senza Merlot, che per sottozona o UGA di provenienza: oggi una suddivisione simile non avrebbe senso.
Anche a Montalcino qualche tempo fa si divideva in vini più “internazionali” e in altri più “classici”: oggi, invece, c’è bisogno di suddividerli in versanti, perché a chiederlo è il pubblico stesso.
Ecco, penso proprio che tenere orecchie e occhi aperti a quanto il pubblico chiede: “Ci sono vini senza solfiti?”, “Avete vini naturali?”, e così via. Serve moltissimo per evolvere gradualmente la propria proposta di vino e permette di tenere un piede nella tradizione e la classicità, seguendo la nascita delle varie tendenze.
L’unica categoria che abbiamo rifiutato di seguire di quelle nate negli ultimi anni sono stati i Pét Nat, perché spesso sono tutti molto simili e talvolta banali e, soprattutto, sono molto difficili da servire al cliente che non è appassionato di vini naturali.
Recentemente Trattoria da Burde è stata nominata Morellino Ambassador dal Consorzio della Denominazione: in cosa consiste questo riconoscimento e che valore ha per voi?
Il Morellino di Scansano è uno dei primi miei amori da sommelier: prezzo basso, nome conosciuto ma non conosciuto davvero, possibilità di beva leggera e senza pensieri erano e sono caratteristiche importanti per un locale che è quasi solo aperto per pranzo.
Nei primi anni 2000 la Maremma pareva un eldorado dei Supertuscan e un territorio che poteva soddisfare sia la Gdo con prodotti accattivanti a prezzo basso e produrre anche vini importanti da punteggi alti e da collezione.
I prezzi bassi dei terreni avevano attirato molti e fatto costruire progetti rivelatesi non molto lungimiranti. Era anche una zona con interessanti iniziative di comunicazione innovative o alternative, perché aveva bisogno di una narrazione nuova o addirittura di una narrazione tout court visto che in pochi l’avevano capita e raccontata.
Nel corso degli anni mi sono quindi trovato con decine di etichette di Morellino in carta, ma la sorpresa più grande è stata sentire gli agenti e distributori raccontare che a parte me trovano molta difficoltà nel proporlo ai ristoranti fiorentini perché era un vino troppo da supermercato.
Probabilmente la mia mentalità più nuova non vedeva un discrimine così importante essere anche in Gdo, anzi, per molti clienti era un piacere ritrovare al ristorante un vino che avevano già imparato a conoscere.

A tavola da Burde scoprivano che il Morellino non era solo “ino” ma poteva sfoderare vini di ricchezza e intensità sorprendenti con un carattere dolce molto diverso dalle altre denominazioni classiche del centro Toscana.
E per noi quello ricevuto oggi è un riconoscimento importante: il Morellino ha fatto tanto per noi, rendendo piacevoli tanti pranzi e ci fa piacere che il Consorzio reputi Trattoria da Burde un posto speciale per farlo conoscere meglio e in maniera più approfondita. È un lavoro quotidiano e impegnativo che facciamo con tante denominazioni ma non sempre viene riconosciuto per quello che vale.
Il mondo del vino è costantemente attraversato da nuovi stili e tendenze: ad oggi, che cosa credi che sia realmente innovativo nel settore e quanto queste innovazioni saranno determinanti nel lungo periodo?
Siamo alla fine della “sottrazione” nel mondo del vino, o almeno spero. La moda dei vini tutto frutto e legno degli anni 2000 ha terminato la sua oscillazione verso i vini scarni e acidissimi che hanno caratterizzato gli ultimi anni in una tendenza di moda dove spesso ci si è spinti troppo oltre con la sottrazione, finendo per sottrarre anche il vino stesso.
Capisco che non sia facile oggi far coincidere maturità fenolica, alcolica e produrre vini eleganti a basso alcol, ma la soluzione non può essere vendemmiare un mese prima con uve acerbe aggiustate con rifermentazioni balorde, contenitori alternativi e uso di raspi e simili.
Sono tutte innovazioni e tecniche interessanti, ma prese singolarmente non servono granché. Il vino del futuro se vorrà continuare ad essere elegante, gradevole e fresco dovrà essere prodotto utilizzando un mix di queste tecniche combinate tra loro e il tutto unito ad un diverso modo di lavorare la terra e la vigna, non necessariamente spostandola di altitudine.
Ci troviamo in una fase dove le aziende cercano di battere nuove strade ma il clima in cambiamento veloce non permette ancora di capire che strada intraprendere. Di tanti mestieri legati al vino, non vorrei mai essere un produttore in questo momento. Da sommelier e ristoratore invece, è un momento molto bello in cui ogni giorno ci sono proposte nuove da valutare e da assaggiare con i nostri clienti.
Da Burde abbiamo il vantaggio di non avere solo nerd del vino o appassionati – con un palato troppo fissato su vini estremi, innovazioni o, al contrario, su stili ultra-classici –, ma abbiamo un pubblico molto eterogeneo in cui la maggior parte sono “solo” persone che vogliono vini in grado di esaltare un pasto da noi. Facciamo moda casual da vestire tutti i giorni, non haute couture.

E del vino dealcolato cosa pensi? È un trend o una vera necessità del consumatore?
Certamente è una tendenza, ma in certi casi è una necessità e non solo dietetica o religiosa. L’uso più intelligente che ho visto fare è in carta da Chic Nonna dalla collega Clizia Zuin, che tra le varie proposte di aperitivo ha inserito la bollicina no alcohol di Hofstätter, tra i pochi vini dealcolati di qualità che ho assaggiato.
Immaginiamoci un incontro tra manager o anche solo amici che si vedono in un ristorante salotto splendido a Firenze o a Milano: perché uno di loro dovrebbe rinunciare al piacere di brindare con gli altri? Non si tratta di omologarsi, ma di inclusione. E il vino, in genere e quello italiano in particolare, ha la possibilità e il dovere di renderlo possibile.
Detto questo, ancora da Burde non lo abbiamo inserito perché in Toscana non ci sono proposte di qualità per la tipologia. Appena ne assaggerò uno di buona qualità sarà interessante inserirlo e vedere che succede.
Ma quali credi che saranno nel prossimo futuro i territori più di successo del vino e perché?
Sono tanti e variegati. Considerando il cambiamento climatico in corso punterei su vini della costa o isolani.
Nonostante le difficoltà logistiche le isole minori italiane godranno di vantaggi climatici non indifferenti e la possibilità di spuntare comunque prezzi interessanti per i vini grazie al turismo e alle basse produzioni. Penso al Giglio, a Procida, Ischia ma anche a vini da luoghi insospettabili come Capraia o la Palmaria davanti Portovenere.
Per lo stesso motivo climatico, ma con diversa soluzione, vedo ben messi territori ampi come il Chianti Classico dove giaciture e versanti considerati poco qualitativi si stanno prendendo grandi rivincite oltre ovviamente all’Appennino.
Romanticamente mi verrebbe da pensare ad una grande occasione per Irpinia e Abruzzo e anche Calabria, ma si tratta di regioni che hanno fatto tante di quelle false partenze negli ultimi anni che non fanno ben sperare.
Fuori dall’Italia, invece, credo che la Spagna del Nord, Galizia e Rias Baixas, e il Beaujolais rappresenteranno due zone di punta che da qui a 15 anni saranno dei must have nelle carte dei vini di tutto il mondo come in parte già lo sono.